“Ariaferma” di Leonardo di Costanzo: atto di denuncia sull’assurdità delle carceri

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Ci sono luoghi in cui il tempo rimane sospeso e le persone che lo
abitano finiscono per perdere ogni contatto con la realtà. O, meglio, la realtà finisce per perdere di consistenza e rimodellarsi secondo schemi imprevedibili. Gli schemi sociali saltano e i rapporti tra gli uomini si ridisegnano in un nuovo quadro sociale.
Il luogo di cui parliamo è il carcere di Mortana, un vecchio carcere
fatiscente, situato in una zona imprecisata del territorio italiano. Il
carcere è in dismissione, ma per problemi burocratici i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti rimane, con pochi agenti, in attesa di nuove destinazioni. E il carcere di Mortana diviene così il nostro spazio nuovo e sospeso, in cui il confine tra detenuto e guardia si cancella e una nuova relazione potrebbe essere possibile. “Il carcere di Mortana nella realtà non esiste – racconta il regista Leonardo di Costanzo, un passato da documentarista e un presente da cineasta classico con almeno due titoli interranti nel suo curriculum: L’intervallo e L’intrusa – è un luogo immaginario, costruito dopo aver visitato molte carceri. Quasi ovunque abbiamo trovato grande disponibilità a parlare, a raccontarsi; è capitato che gli incontri coinvolgessero insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Allora era facile che si creasse uno strano clima di convivialità, facevano quasi a gara nel raccontare storie. Si rideva anche. Poi, quando il convivio finiva, tutti rientravano nei loro ruoli e gli uomini in divisa, chiavi in mano, riaccompagnavano nelle celle gli altri, i detenuti. Di fronte a questo drastico ritorno alla realtà, noi esterni avvertivamo spaesamento. E proprio questo senso di spaesamento ha guidato la realizzazione del film: “Ariaferma” non racconta le condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere”.
Ariaferma è di certo un film sull’assurdità delle carceri, ma è prima di tutto un film sulle relazioni umane. Pensato da Di Costanzo come una piece teatrale (per unità di tempo e di luogo), il film si sofferma principalmente sulla relazione tra la guardia Gargiuolo (Toni Servillo), promosso per l’occasione eccezionale a responsabile dei pochi detenuti rimasti, e Carmine Lagioia (Silvio Orlando), un carcerato con un passato da camorrista. I due sono le facce della stessa moneta – stesso il passato familiare e stesso il contesto in cui sono cresciuti, diverso il destino invece che li mette uno contro l’altro – che nell’aria sospesa e ferma di un carcere pronto per essere chiuso, trovano il modo di confrontarsi e forse comprendersi.
Leonardo Di Costanzo è bravissimo a costruire il clima di tensione
crescente e a stemperarlo dentro dolcezza inattesa, che ci ricorda
cosa significhi essere umani in qualsiasi circostanza ci si trovi.