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In Kosovo quella dei passaporti è una piccola, insidiosa rivoluzione

In Kosovo l’1 gennaio c’è stata una piccola rivoluzione silenziosa: quella dei passaporti. Da Pristina a Mitrovica infatti i kosovari dopo tanti anni e tante battaglie avranno un loro passaporto che gli consentirà, finalmente, di viaggiare in maniera libera in tutta l’Europa e non solo.

Quando con le telecamere di The Passenger avevamo visitato questo fantastico Paese ci eravamo resi conto di come tutti i cittadini fossero impossibilitati nel viaggiare all’estero, se non per questioni realmente gravi o comunque importanti. Un problema enorme per un Kosovo che vuole aprirsi al mondo dopo decenni di sofferenza e che ambisce all’ingresso nell’UE.

Ecco cosa ci diceva a proposito Arton, un cittadino kosovaro incontrato durante le riprese del nostro reportage

Ora però tutto sembra essersi risolto e i kosovari potranno finalmente godersi dei viaggi in giro per il mondo, ma non è tutto oro ciò che luccica.

I pro e i contro dei passaporti in Kosovo

Nonostante i cittadini kosovari possano finalmente godere di una libertà fondamentale quale quella degli spostamenti, c’è chi nella Piana dei Merli si sente preoccupato. I passaporti kosovari sono un incentivo per l’emigrazione e quello che si teme è un vero e proprio esodo da uno dei Paesi più poveri nell’area europea.

Consideriamo che lo stipendio medio di un kosovaro si aggira sui 240 euro al mese e che la disoccupazione è alle stelle. Nonostante ciò, dopo la guerra, Pristina ha visto un certo rinnovamento e una miglioria non da poco. Fabbriche, servizi, posti di lavoro e soprattutto una natalità invidiabile rendono il Kosovo un osservato speciale per le economie del futuro, ma ancora tanto lavoro va svolto.

Pristina è la città più giovane d’Europa e girando tra Recep Luci Street e Nana Teresa Square ciò è percepibile, infatti l’età media della popolazione a Pristina è di 23 anni, la più bassa in tutta Europa.

Il Kosovo sta risorgendo e sta puntando sui giovani, ma un esodo di massa potrebbe fare piombare questo Paese nel baratro.

Convincere la massa giovane kosovara a rimanere nel suo Paese di appartenenza suona come una sfida, una sfida che la presidente Vjosa Osmani accetta.

D’altra parte però con la possibilità di viaggiare e di aprirsi al mondo i kosovari potranno incrementare gli scambi con i Paesi europei, in primis con l’Italia e ciò può essere un punto di svolta per le imprese kosovare. Insomma, il Kosovo è ad un bivio e tra insidie e opportunità tutto è rimesso nelle mani del governo e dei cittadini kosovari. La speranza è quella di vedere il Kosovo risorgere in una condizione pacifica, con la vicina Serbia che ancora non vuole cedere sulle questioni territoriali.

Il peso specifico dell’UE negli affari kosovari e serbi è un peso massimo, come reagiranno le autorità dell’Unione di fronte a questa piccola, ma significativa svolta?

La questione territoriale non è assolutamente da sottovalutare in tutta questa situazione. Dopo la diatriba delle targhe nella zona settentrionale del Kosovo, quella filoserba, c’è quella del riconoscimento. Da questo punto di vista emergono già i primi cortocircuiti.

Ci sono infatti Stati della UE che riconoscono e accettano il passaporto kosovaro, ma che non ne riconoscono l’indipendenza dalla Serbia. È il caso ad esempio della Spagna, che considera ancora il Kosovo come una regione serba.

L’emanazione di questo passaporto potrebbe rappresentare un pivot storico per il riconoscimento formale del Kosovo come stato indipendente, facendo perdere di que ogni legittimità a Vucic e al suo governo sul suolo kosovaro. Tutto ciò in un periodo in cui a Belgrado l’opinione pubblica appare divisa e dove si teme per la tenuta di uno dei governi più autoritari dell’area europea dopo le recenti proteste per presunti brogli elettorali nelle elezioni che hanno portato all’ennesima rielezione di Vucic.

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