La Regione è quarta in Italia per tasso di raccolta differenziata ma ha anche il maggior numero di impianti. I rifiuti importati portano a un profitto di almeno 2,6 miliardi all’anno.
Rifiuti, la Lombardia è un caso. Una delle Regioni più inquinate d’Italia, che detiene il record di impianti (12 termovalorizzatori e 58 impianti di incenerimento e co-incenerimento sul proprio territorio) e di discariche, è al quarto posto per il tasso di raccolta differenziata (la media si attesta al 73,2%). E quindi, non avrebbe bisogno di bruciare grandi quantità di rifiuti in tutti i suoi inceneritori. Tuttavia, non è così: se i lombardi hanno prodotto, nel 2022, 1 milione e 230mila tonnellate destinate all’incenerimento, nei vari impianti sono state bruciate 1 milione e 940mila tonnellate (dati Ispra, catasto nazionale dei rifiuti). Da dove vengono quindi quelle 710mila tonnellate di rifiuti in più, pari al 36% del totale? La risposta è molto semplice: dalle importazioni.
Come riporta Il Fatto Quotidiano, Rete Ambiente Lombardia, nel corso del primo convegno regionale sui termovalorizzatori dello scorso 9 novembre a Brescia, ha ricostruito il traffico di rifiuti che arrivano da altre Regioni, che hanno pochi o nessun impianto di incenerimento. E in particolare, la maggior parte dei rifiuti importati proviene da Lazio, Campania, Puglia e Piemonte. Un vero e proprio business: secondo le stime della Camera di Commercio di Milano, ogni tonnellata di rifiuti rende almeno 100 euro, per un totale di 2,6 miliardi all’anno. Peccato che nella Regione che ospita una buona porzione della Pianura padana, l’area più inquinata d’Europa per presenza di PM10, gli inceneritori e gli altri impianti analoghi vadano ad aggravare la situazione.
I tempi sono cambiati dagli anni ’90, quando in Lombardia si protestava per chiudere le discariche ormai al collasso e per contrastare l’invio di rifiuti da altre parti d’Italia. Oggi, ci sono aziende private del settore dei rifiuti ma anche società pubbliche che riescono a ottenere grandi profitti. E la salute sembra davvero l’ultima delle preoccupazioni. “Se potessimo disporre di studi indipendenti, allora chiunque potrebbe comprendere i rischi per la salute” – la denuncia di Paolo Crosignani dell’Associazione Medici per l’Ambiente – “Invece, gli studi epidemiologici vengono commissionati e finanziati dagli stessi gestori degli impianti. Le conclusioni sono sempre le stesse formule, ‘Non sono stati riscontrati problemi significativi’ oppure ‘I dati non sono consistenti’. Tutto talmente vago da non consentire altri approfondimenti“.
Gli studi epidemiologici indipendenti, d’altronde, sono davvero rari. In Piemonte, nel 2014, Arpa ne condusse uno sull’inceneritore di Vercelli, facendo scattare l’allarme per i dati su malattie e mortalità, molto più elevati della media nella popolazione esposta. “Forse per questo il Piemonte decise di non costruire nuovi inceneritori?” – i dubbi di Raffaella Mattioni, medico internista di Rete Ambiente Lombardia – “Oggi ne ha uno solo e non ne vuole altri, così esporta i suoi rifiuti fuori dal territorio regionale“.
Un problema, quello dell’impatto sulla salute, che da tempo è al centro del dibattito su termovalorizzatori e inceneritori. C’è chi li considera inutili e dannosi, ribadendo l’esistenza di alternative concrete, e chi invece sostiene che siano indispensabili. Tra i primi c’è sicuramente Enzo Favoino. “Chi esprime dubbi sugli inceneritori è accusato di approccio ideologico, in realtà è ideologico chi, per un malinteso modernismo, considera imprescindibile installare un certo numero di impianti anche in una regione come la Lombardia, che vanta una clamorosa sovraccapacità di incenerimento” – spiega il membro del comitato scientifico di Zero Rifiuti Europa – “Ci dicono che bruciare rifiuti è un elemento essenziale dell’economia circolare, che si basa sul prelevare risorse dal pianeta, trasformarle in beni e servizi, e poi smaltire gli scarti. Il principio su cui si fonda l’economia circolare però è la conservazione delle risorse il più a lungo possibile, mentre l’inceneritore le distrugge e costringe a prelevarne di nuove. È proprio quello che non dovremmo fare, perché l’Europa ha grandi capacità di produzione ma scarse materie prime: invece di distruggere i materiali, dobbiamo riciclarli. Vetri, metalli e plastiche possono essere impiegati nelle riparazioni, con la frazione organica possiamo fare compostaggio e bioraffineria“.
In Lombardia, c’è una sola provincia che non ospita inceneritori: quella di Mantova, dove la raccolta differenziata raggiunge l’86%, ben 13 punti percentuali sopra la media regionale. Dati illustrati da Marino Ruzzenenti, storico dell’ambiente, che denuncia un vero e proprio monopolio da parte di A2a, società pubblica fondata nel 2008 e controllata dai Comuni di Milano e Brescia, oggi multinazionale quotata in borsa e primo operatore italiano per tonnellate di rifiuti inceneriti. “Inutile nascondersi dietro un dito, siamo in presenza di una scelta precisa: rinunciare alla tutela di ambiente e salute in nome del profitto” – l’accusa di Ruzzenenti – “A2a versa nelle casse di Brescia, ogni anno, 75 milioni di euro, e di fatto condiziona la politica e persino le istituzioni culturali come il Fai, che tra i ‘monumenti meritevoli di essere visitati’ inserisce anche l’inceneritore“.
A2a ha sempre respinto queste accuse e ha dichiarato di essere pronta a ridurre progressivamente i rifiuti da bruciare. Come ricorda ancora Il Fatto Quotidiano, però, nel 2012 a un consulente della società fu sconsigliato, in una e-mail, di rilasciare interviste su temi ambientali: “Per tua conoscenza, il ragionamento banale e semplice è questo: se i rifiuti sono il nostro oro, perché A2a dovrebbe ridurli?“. All’incontro di Brescia del 9 novembre scorso avevano partecipato medici, ambientalisti e altri esperti. Gli organizzatori avevano invitato anche l’assessore regionale all’Ambiente, Giorgio Maione, che però ha ringraziato senza partecipare al convegno.
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