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AAA Carri armati seminuovi vendesi a prezzi modici

CIVITAVECCHIA – Settantacinque anni fa, come oggi, il Medio Oriente era un’enorme polveriera sempre sul punto di saltare in aria. Dopo la vittoria nel 1948, il neonato stato ebraico aveva firmato l’anno successivo con le nazioni arabe l’armistizio di Rodi mettendo in pausa il conflitto. Entrambe le parti erano alla continua ricerca di nuovi armamenti per rafforzare i propri eserciti ed essere pronti alla difesa o all’attacco. In quegli anni l’Europa era uno sterminato magazzino di residuati bellici, abbandonati dai diversi eserciti che si erano fronteggiati per oltre cinque anni nel vecchio continente. L’Italia non faceva eccezione. Il 29 ottobre il governo costituiva l’Azienda Rilievo Alienazione Residuati ARAR che aveva lo scopo di vendere il materiale bellico abbandonato nel Paese dai vari eserciti. La sua attività ebbe fine nel 1958 e questo dà un’idea di quanto materiale fosse stato abbandonato dall’esercito tedesco e da quelli alleati. Il 15 novembre 1949 nel porto di Civitavecchia una nave battente bandiera panamense (un classico) stava caricando del materiale ARAR residuato di guerra quando i carabinieri bloccarono le operazioni di imbarco avendo notato che buona parte del materiale era di natura bellica: si trattava di 17 carri armati Sherman di produzione americana pesanti ciascuno 26 tonnellate. Erano accompagnati da un funzionario dell’ARAR che esibiva regolari documenti di acquisto e di esportazione. La ditta straniera che aveva acquistato i carri armati aveva allegato documenti probanti ma non era chiara la destinazione finale del materiale bellico. Nel porto era da giorni in attesa una nave da carico tipo Liberty da 10 mila tonnellate battezzata Cockeri con bandiera panamense ed equipaggio greco. Uno zatterone provvedeva alle operazioni e già sei carri armati erano stati issati a bordo quando da Roma arrivò l’ordine di sospendere le operazioni di carico e di sequestrare i 26 tank. Il capitano della nave cercò di opporsi, ma i carabinieri allora sequestrarono anche il battello finché non fossero stati sbarcati i 6 mezzi già issati. Ma a chi erano destinati i 17 carri armati? Sui giornali dell’epoca si sospettava fosse Israele la destinazione finale ma non vi era certezza. La vicenda finì in Parlamento dove si apprese che i carri armati acquistati da uno stato straniero non precisato erano addirittura 41 e che risultavano inefficienti e destinati alla Finsider come rottami di ferro. Invece i mezzi sembravano recuperabili e potevano essere destinati al nostro esercito anch’esso sguarnito di mezzi. Il senatore socialista Domenico Grisolia sottolineava che era la seconda volta che il governo italiano, pur avvertendo la necessità di armi per l’esercito, permetteva la vendita di armi ad altre potenze tramite una pseudo società che sembrava avere il monopolio del mercato delle armi con destinazioni non chiare. Ieri come oggi, il mercato delle armi non è mai in crisi. (da Il Messaggero e La Stampa del 16, 17 e 18 novembre 1949)

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