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Asma, un terzo dei casi è dovuto all’inquinamento da PM2,5

L’appello dei ricercatori: “Occorre stabilire misure efficaci e tempestive per limitare l’impatto di questa malattia, che è curabile ma da cui non si guarisce”. In Italia, l’incidenza è nettamente maggiore rispetto alla media globale. 

L’asma è una malattia curabile, con i sintomi che possono essere alleviati, ma da cui non si guarisce. È anche una malattia ‘silenziosa’, di cui si parla troppo poco, anche se colpisce il 4% dell’intera popolazione mondiale con circa 30 milioni di nuovi casi diagnosticati ogni anno (e in Italia l’incidenza è ancora più alta). Se non è possibile la guarigione per i pazienti, occorrono però misure anti-inquinamento efficaci. Anche perché gli ultimi studi rivelano che un terzo dei casi di asma, nei bambini come negli adulti, è dovuto all’inquinamento da polveri sottili nell’aria, e in particolare quello causato dal particolato fine (PM2,5).

Come scrive Serena Zoli sul sito della Fondazione Umberto Veronesi, a confermarlo c’è una metanalisi di ben 68 studi epidemiologici, condotti dal 2019 a oggi in 22 diversi Paesi di vari continenti (Nord America, Europa occidentale, Asia orientale, Asia meridionale e Africa). Tutti gli studi, nel complesso, hanno coinvolto oltre 25 milioni di pazienti e sono stati poi coordinati da un team di ricercatori del Max Planck Institute for Chemistry, in Germania, guidato dalla dottoressa Ruijing Ni. L’enorme e complesso lavoro dei ricercatori, provenienti da tutto il mondo, ha portato a concludere che ci sia un’evidenza sufficiente per associare l’insorgenza dell’asma e il particolato fine nell’aria.

Stimiamo che, a livello globale, un terzo dei casi di asma nel 2019 sia da attribuire a una esposizione prolungata al PM2,5. Si tratta di 63,5 milioni di casi già accertati e 11,4 milioni di nuovi casi” – ha spiegato la dottoressa Ruijing Ni – “Inoltre, risulta che il rischio di asma associato al PM2,5 è molto più alto nei bambini che negli adulti, in base alla maggiore vulnerabilità dovuta all’età“.
Quanto affermato dalla dottoressa Ni non stupisce, dal momento che la piena maturazione dei polmoni e della funzione immunologica arriva al completamento solo all’inizio dell’età adulta. Non è una novità che i bambini siano più vulnerabili di fronte all’inquinamento atmosferico, che può indurre, molto più che negli adulti, stress ossidativo delle vie aeree, infiammazione, iper-reattività, cambiamenti nelle risposte immunologiche e nella sensibilizzazione respiratoria agli allergeni.

Il rischio di asma, poi, cresce esponenzialmente in quei Paesi più inquinati di altri, cioè in quelli a basso e medio reddito, dove è più alta la concentrazione di inquinanti nell’aria e in particolare del PM2,5. Tuttavia, in queste aree del mondo sono ancora troppo pochi gli studi sulla salute in rapporto al particolato fine, e l’indagine globale promossa e coordinata dal Max Planck Institute ha cercato, per quanto possibile, di colmare questa lacuna.
I nostri risultati sottolineano la necessità urgente, da parte dei nostri decisori politici, di rafforzare una legislazione stringente per una lotta costante all’inquinamento atmosferico” – ha spiegato il direttore del Max Planck Institute, il professor Yafang Cheng – “Ricordiamo che le misure protettive personali, come le mascherine, possono anche aiutare a ridurre l’esposizione individuale e mitigare il rischio di asma“.

Questo studio è molto complesso e interessante. Intanto, perché ha incluso anche i Paesi a medio e basso reddito, unendo autori di provenienza internazionale. Viene riportato un dato molto preoccupante: per ogni aumento di 10 microgrammi di PM2,5 per m³, il rischio di ammalarsi di asma cresce del 21,4% nei bambini e del 7,1% negli adulti” – il commento del professor Alfredo Chetta, docente di Malattie dell’apparato respiratorio all’Università di Parma – “Nei bambini il rischio è maggiore perché l’albero bronchiale si sviluppa fino ai 18-20 anni e nel frattempo il polmone cresce, quindi c’è una condizione di maggior vulnerabilità. Un rischio simile a quello legato al tabagismo in quelle età. Il particolato PM2,5, essendo ultrafine, arriva nel polmone profondo, compresi gli alveoli, ed è soprattutto nelle piccole vie aeree che crea infiammazione e induce l’asma nei soggetti geneticamente predisposti“.

Se l’asma è diffusa nel 4% della popolazione mondiale, in Italia il dato sale addirittura al 7%. Il professor Chetta spiega: “Noi paghiamo il fatto di avere zone molto inquinate, come la Val Padana. Ci sono delle terapie che consentono un buon controllo dei sintomi, come inalazioni cortisoniche e broncodilatatori e anche anticorpi monoclonali, nei casi più gravi. La malattia è generalmente in crescita, un tempo era indotta da allergeni, polveri, erbe, ora è prevalente l’inquinamento“.
Le soluzioni proposte dal prof. Alfredo Chetta sono le stesse a cui sono giunti i ricercatori del Max Planck Institute: “Occorre sollecitare i politici su una questione urgente, dobbiamo cambiare le fonti di approvvigionamento energetico. I politici non possono continuare a fare gli struzzi sull’inquinamento e sul riscaldamento globale, occorre intervenire in modo rapido e incisivo per cambiare l’aria che respiriamo tutti noi, bambini e adulti“.

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