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Roma

Quel Natale del 1943 nella città distrutta ed abbandonata

CIVITAVECCHIA – Il Natale più triste vissuto da Civitavecchia nella sua storia bimillenaria è senza dubbio quello del 1943 quando in una città distrutta dai ripetuti bombardamenti angloamericani, pochissimi uomini e donne sopravvivevano, dovendosi confrontare ogni giorno con la scarsità di cibo, con la penuria di medicinali e la totale mancanza dei combustibili utili per riscaldarsi in uno degli inverni più rigidi della sua storia. Non sappiamo quante persone rimasero in città in quei terribili mesi. Si adoperava per le loro esigenze spirituali e materiali un frate cappuccino, fra Francesco Cirilli da Bolsena. Lui fu uno dei pochi che rimasero a Civitavecchia nei mesi successivi al 14 maggio 1943. Della sua “resistenza” ha lasciato testimonianza nella cronaca del convento. Nei mesi successivi al 14 maggio “bande di soldati tedeschi e torme di civili di tutti i paesi circonvicini finiscono i ladrocini cominciati il 10,11 ecc. del mese invadendo dopo le caserme anche le abitazioni private” (30 ottobre 1943). Tali saccheggi furono registrati in una nota della Questura di Roma dell’8 novembre in cui comunicava al Ministero dell’Interno che 27 uomini, fra carabinieri, militi della Guardia di Finanza e vigili urbani, cercavano di mettere freno al saccheggio della città, che aveva assunto vaste proporzioni (Mirella Scardozzi, 1978). Fra Francesco quando poteva celebrava la messa per i pochi superstiti. Insieme a lui in città erano rimasti dei sacerdoti salesiani che si erano trasferiti in zona Cisterna dove erano accampati i pochi civitavecchiesi che non erano riusciti ad abbandonare la città e che vivevano in baracche ed altri rifugi di fortuna. Il frate cappuccino faceva la spola con Tolfa, dove aveva messo in sicurezza gli oggetti di valore propri della chiesa di san Felice da Cantalice. Ad inizio dicembre “si apre la quarantena per i tifosi di Tolfa. I tedeschi non permettono di entrare e di uscire da Tolfa. Penso al modo di eluderli”. Quasi ogni giorno di dicembre, fra Francesco annotava nella cronaca gli attacchi aerei sulla città e sul porto. Gli alleati non davano tregua alla città agonizzante con bombardamenti e mitragliamenti. Il 14 dicembre appuntava: “mi trovo alla posta (Cisterna) attacco aereo. Le bombe ci cadono vicino. Molta paura. Pochi danni, ormai è tutta macerie”. Sfinito, il 29 dicembre, si ritira a Tolfa ma nel convento quasi tutti i frati sono ammalati: chi lamentava la polmonite, chi il tifo, chi la bronchite. Intanto, il convento e i terreni circostanti erano sempre occupati dalle truppe tedesche. Il 1 gennaio 1944 frate Francesco ottenne un permesso per recarsi a Civitavecchia. Glielo concesse il dottor Bisa della Croce rossa germanica (il medico era stato un dirigente diocesano di Azione Cattolica a Berlino). Il nostro frate corresse il permesso aggiungendo al numero 1 un 2 così poté recarsi a Civitavecchia per 21 giorni consecutivi “in barba ai militari del blocco stradale”. Quel 1 gennaio 1944 “bufera di vento e neve; ugualmente mi reco a celebrare la S. Messa in Civitavecchia (in Convento) e ritorno lo stesso giorno a Tolfa. Quanti pochi devoti!” Il 2 gennaio dalle 14 alle 14.20 furono bombardati il porto e la zona Cisterna verso viale Baccelli. Il giorno dopo, dalle 7 alle 7.15 fu bombardato il porto e la zona Grotta Aurelia dove era collocata provvisoriamente la stazione ferroviaria. Fra Francesco annota che “i danni della bufera di vento e neve sono alcune piante divelte compreso il pino sotto la stalla, parte del tetto della chiesa scoperchiato e tutto il vigneto abbattuto in terra”. Anche nei giorni successivi si susseguirono “nuovi attacchi aerei e mitragliamenti parziali di strade e depositi. Visto che tutta la città è obiettivo militare eccetto le caserme (!) torna cauto fuggire in esse. Paradosso!” Cronache da una Civitavecchia spettrale, tormentata da vento e neve, che solo a giugno fu liberata dalle truppe americane.

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