Shein non è stata in grado di fornire risposte alle domande sul cotone prodotto in Cina, nella provincia dello Xinjiang, nota per il lavoro forzato.
Il colosso cinese del fast fashion Shein si è rifiutato di rispondere ai parlamentari britannici in merito alla vendita da parte dell’azienda di prodotti contenenti cotone proveniente dalla Cina, in particolare dalla provincia dello Xinjiang, nota per il lavoro forzato degli uiguri, una minoranza di religione musulmana e di etnia turcofona.
Oltre a Shein, anche il rivale Temu, è stato convocato presso la commissione parlamentare britannica. Entrambe le aziende, sempre più in crescita e popolari per la vendita di abbigliamento a prezzi stracciati, sono finite più volte sotto accusa per casi di lavoro lungo le loro filiere.
Sono perciò state convicate per rispondere a domande sul rispetto dei diritti dei lavoratori e sulle modalità di approvvigionamento dei loro prodotti. Tutto questo anche in vista della notizia che Shein si starebbe preparando ad essere quotata alla Borsa di Londra.
Yinan Zhu, consulente dell’azienda Shein a Londra, ha però ripetutamente affermato di non essere qualificata per rispondere alle domande sulla filiera di fornitura del rivenditore di fast fashion. Allo stesso modo ha evitato di dichiarare se gli standard di autoregolamentazione dell’azienda proibiscano l’uso di tale materia prima. Nessuna risposta neppure sulle accuse di lavoro forzato.
A Zhu è stato inviato un dossier che delineava i legami tra la produzione di cotone nella regione e il lavoro forzato della minoranza musulmana uigura, ma sono state definita dalla stessa prove”ridicole”. “Rispettiamo le leggi e i regolamenti dei Paesi in cui operiamo. Siamo conformi alle leggi britanniche in materia“, ha affermato Yinan Zhu.
Il rifiuto della consulente Zhu di rispondere alle domande ha suscitato la reazione negativa dei parlamentari che l’hanno accusata di “ignoranza volontaria”.
Il presidente della commissione Liam Byrne ha dichiarato che i parlamentari sono “inorriditi” di fronte alla mancanza di risposte.
La società avrebbe dovuto fornire maggiori chiarimenti ai potenziali investitori sulla catena di fornitura di Shein, ma così non è stato.
L’avvocato di Temu, invece, Stephen Heary, ha dichiarato nel corso dell’audizione che la questione del lavoro forzato rappresenta un problema che preoccupa i suoi dirigenti e che nessun venditore proveniente dalla regione dello Xinjiang era autorizzato ad utilizzare la piattaforma.
Secondo però un rapporto del Congresso degli Stati Uniti del 2023, Temu “non conduce alcun audit e non adotta alcun sistema di conformità per valutare” se effettivamente i suoi fornitori rispettino le leggi statunitensi sul lavoro forzato.
“Shein da anni è noto per i suoi costi sociali, per la sua filiera produttiva che ci restituisce prodotti a prezzi davvero irrisori e dal massiccio uso di sostanze chimiche, come abbiamo indicato in un rapporto di Greenpeace. – afferma a TeleAmbiente Giuseppe Ungherese – Per il competitor Temu, abbiamo scoperto che i capi arrivano in Italia direttamente dalla Cina via aerea, impiegando pochi giorni per essere spediti. Ogni pacchetto percorre, solo nel viaggio di andata, circa 10mila km, con un equivalente impatto in termini di CO2. Basso costo dei prodotti, alto costo ambientale”.
Shein e le condizioni dei lavoratori
Shein, fondata in Cina e ora con sede a Singapore, è già nota per essere finita al centro di inchieste sulle condizioni dei lavoratori.
La stessa azienda aveva dichiarato di aver riscontrato due casi di lavoro minorile nella sua catena di fornitori nel 2023
In un’inchiesta pubblicata dall’organizzazione svizzera Public Eye, condotta all’interno degli impianti di produzione dell’azienda situati a ovest del villaggio di Nancun, nell’area di Guangzhou, nel sud della Cina, ha dimostrato che ci sono operai che cuciono vestiti anche per più di dodici ore al giorno, per sei o sette giorni a settimana, e solo un giorno libero al mese.
Dopo le critiche ricevute per i maltrattamenti ai lavoratori, Shein ha insistito sul fatto che i controlli nelle fabbriche sono aumentati e che prenderà provvedimenti contro i fornitori poco affidabili.
Il cotone “etico” raccolto sfruttando i bambini
Parlando di cotone, l’organizzazione no-profit Transparentem ha scoperto le “peggiori forme di lavoro minorile” nelle fattorie collegate a due importanti fornitori, Remei India e Pratibha Syntex, uno dei più grandi produttori di abbigliamento della nazione asiatica, che fornisce materiali a marchi tra cui H&M, Amazon e Columbia.
Pratibha Syntex si proclama il più grande produttore di abbigliamento sostenibile dell’India. Il cotone viene marchiato come “etico”, ma, come dimostrato dall’organizzazione, di etico nella produzione, nella filiera e nelle condizioni dei lavoratori, c’è ben poco.
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