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Obesità, la distribuzione del grasso come nuovo criterio di diagnosi

In arrivo nuovi criteri per affrontare uno dei mali del secolo, l’obesità, che colpisce un miliardo di persone in tutto il mondo. 56 esperti hanno pubblicato sulla rivista The Lancet Diabetes and Endocrinology la proposta.

L’idea è di superare l’indice di massa corporea come unico criterio per diagnosticare l’obesità. Tale indice si ottiene dividendo il peso per la statura elevata al quadrato. Al momento se l’indice supera 30 si ha obesità. Ma ormai in medicina è comunemente accettato il fatto che è altrettanto se non più importante la localizzazione del grasso, quello in eccesso nel girovita è più pericoloso del grasso localizzato su gambe e braccia, per esempio, così come il grasso accumulato attorno agli organi è molto pericoloso sebbene la persona possa avere un indice di massa corporea sotto 30e quindi possa non essere considerata obesa. Le persone muscolose, finora spesso considerate obese, possono superare il parametro di 30 senza che ciò comporti dei rischi per la loro salute.

All’indice di massa corporea, sostengono adesso gli esperti, andrebbero affiancati altri criteri come la circonferenza della vita o la misurazione del grasso con densitometria ossea. Il più importante fattore di rischio è, come detto, l’eccesso di grasso corporeo. Se applicati, la combinazione di questi criteri permetterebbe di non considerare obese le persone che hanno un alto indice di massa corporea ma nessun eccesso di grasso corporeo. Mentre le persone finora considerate solo in sovrappeso, perché con un indice di massa corporea basso, qualora presentassero un eccesso di grasso corporeo verrebbero considerate in obesità pre-clinica. In questo ultimo caso, l’individuo non ha una patologia ma una predisposizione a sviluppare l’obesità clinica. Si eviterebbero così sottovalutazioni importanti.

L’obesità clinica verrebbe diagnosticata solo quando vi sono anche sintomi come la ridotta funzione di un organo o la ridotta capacità di svolgere alcune azioni comuni (affanno, dolore alle ginocchia, insufficienza cardiaca etc.)

Troppe secondo gli esperti sono le sovradiagnosi, mentre esiste una categoria di persone che al momento non vengono considerate e che invece andrebbero trattate per evitare che sviluppino la malattia. In Italia l’obesità non è ancora riconosciuta come malattia cronica.

Come riportato dall’agenzia Ansa, il presidente della commissione Francesco Rubino, del King’s College di Londra, ha chiarito l’importanza di una nuova formulazione: “Le evidenze scientifiche raccontano una realtà molto più sfumata. Alcuni individui con obesità possono mantenere una normale funzione d’organo e un buono stato di salute globale, anche a lungo termine; mentre altri mostrano segni di malattia grave subito. La nostra riformulazione riconosce la realtà sfumata dell’obesità e permette un trattamento personalizzato. Questo comprende un accesso tempestivo ai trattamenti per gli individui con obesità clinica e strategie di trattamento per la riduzione di rischio per le persone con obesità pre-clinica. Ciò potrà facilitare una riallocazione razionale delle risorse sanitarie”.

Gli esperti sottolineano come se applicate, le nuove linee guida permetterebbero di ridurre la platea di persone con obesità e di concentrare le risorse del sistema sanitario solo su chi ha realmente bisogno di cure o di interventi di prevenzione. Ma a pesare sulla lotta all’obesità è ancora lo stigma che vede le persone in sovrappeso subire delle discriminazioni che rendono più difficile il trattamento della malattia.

L’articolo Obesità, la distribuzione del grasso come nuovo criterio di diagnosi proviene da Notizie da TeleAmbiente TV News.

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