In tre secoli, il nostro Paese ha perso il 75% delle sue zone umide. Che non sono solo uno scrigno di biodiversità, ma tutelano anche la vita umana.
Il 2 febbraio è la Giornata mondiale delle zone umide, istituita nel 1997 per ricordare la firma della Convenzione internazionale di Ramsar, risalente al 1971. In Iran, ormai 54 anni fa, fu firmato il primo trattato internazionale che rileva l’importanza delle zone umide per l’intera biodiversità, uomo compreso.
Cosa sono le zone umide
A dare una prima, concreta definizione delle zone umide è stata proprio la Convenzione di Ramsar: “Paludi e acquitrini, torbiere o bacini (naturali o artificiali, permanenti o temporanei), con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra, o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non supera i sei metri“.
Le zone umide sono ecosistemi unici nel loro genere, che non solo ospitano una ricchissima diversità biologica (piante, uccelli, mammiferi, rettili, anfibi, pesci e invertebrati) ma garantiscono anche ingenti risorse di acqua e cibo e hanno una funzione fondamentale di mitigazione dei cambiamenti climatici. In particolare, le zone umide sono particolarmente utili di fronte alla sempre maggiore intensità e frequenza di eventi estremi, dal momento che possono rallentare il deflusso delle acque e ridurre il rischio di esondazioni.
Le zone umide in Italia
L’ISPRA ha censito tutte le zone umide di importanza internazionale in Italia secondo l’elenco ufficiale della Convenzione di Ramsar: sono 57, distribuite in 15 Regioni, per un totale di 72.288 ettari. Tuttavia, ci sono altri nove siti, in Sicilia, Toscana e Friuli-Venezia Giulia, che sono stati individuati da decreti ministeriali negli scorsi anni e che sono in attesa di essere inseriti nella lista dal Segretariato della Convenzione, per un totale di 66 aree e un’estensione di 79.826 ettari.
Le Regioni italiane che ospitano la maggior parte delle zone umide sono l’Emilia-Romagna (10 aree e 23.112 ettari), la Toscana (11 aree e 19.306 ettari) e la Sardegna (nove aree e 13.308 ettari). Sono invece cinque le Regioni d’Italia che non presentano zone umide nel loro territorio.
Zone umide a rischio
Nonostante la loro importanza per la vita sulla Terra, le zone umide sono sempre più minacciate da vari fattori: crisi climatica, dissesto idrogeologico, sfruttamento eccessivo delle risorse e politiche ambientali inadeguate. Ed è per questo che la Giornata mondiale del 2 febbraio punta a sottolineare la necessità di salvaguardare questi ecosistemi, preziosi per la vita di tante specie animali ma anche per quella dell’uomo.
In concomitanza con la Giornata mondiale delle zone umide, si terranno vari appuntamenti in tutta Italia, come ad esempio la manifestazione per difendere i laghi dei Castelli Romani, in programma domenica alle ore 10 al porticciolo del Lago Albano.
Lipu: “Zone umide fondamentali serbatoi di carbonio”
La Lega italiana protezione uccelli sottolinea, in vista di domenica 2 febbraio, la capacità delle zone umide di mitigare anche le cause della crisi climatica. In Italia, le zone umide sono l’habitat naturale di oltre 100 specie di uccelli, che qui vivono, nidifcano, svernano o fanno tappa durante le loro migrazioni. Inoltre, le zone umide sono i più efficaci serbatoi di carbonio sulla Terra. La Lipu ha pubblicato un report di respiro internazionale proprio su questo tema: le zone umide sono in grado di stoccare ben 13,22 miliardi di tonnellate di carbonio (equivalenti a 48,5 miliardi di tonnellate di CO2) in tutto il mondo. Essenziale, in tal senso, sarà l’applicazione in tutta l’Ue del Regolamento europeo sul ripristino della natura, perché potenzialmente permetterebbe di assorbire 378 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, superando anche l’obiettivo fissato per il 2030 di 310 milioni di tonnellate.
Nelle varie oasi e riserve, la Lipu organizzerà visite guidate, birdwatching e censimenti con ornitologi. In tutto il mondo, oltre un terzo delle specie di uccelli dipende dalle zone umide e la loro vita è strettamente correlata al grado di conservazione di questi habitat.
Lipu: “Zone umide sempre più minacciate”
Nonostante l’evidente contributo alla protezione della biodiversità e al contrasto ai cambiamenti climatici, le zone umide non sono ancora adeguatamente tutelate. Lo sottolinea Claudio Celada, direttore dell’Area Conservazione della natura della Lipu-BirdLife Italia. “Gran parte del territorio dell’Unione europea è ancora degradato a causa della deforestazione o cattiva gestione delle foreste e delle aree umide, anche per effetto di pratiche agricole intensive” – spiega Celada – “Attuare la Nature Restoration Law con i vari Piani nazionali di ripristino previsti può consentire di accelerare non poco il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione europea. Anche per questo, offriamo al nostro Governo la piena collaborazione a redarre il Piano nazionale di ripristino, certi che sia un’occasione straordinaria per offrire una ripresa alla biodiversità in crisi e dare un serio contribuito a contenere gli effetti dei cambiamenti climatici, che colpiscono sempre più il territorio e la popolazione, in Italia e nel resto del mondo“.
Allarme zone umide in Italia
Tra Italia ed Europa, lo stato di conservazione delle zone umide è decisamente allarmante. Un report dell’ISPRA sottolinea come il 47,6% delle zone umide sia in cattivo stato di conservazione e il 31,7% inadeguato, con appena il 4,7% in uno stato favorevole.
Oltre alla Lipu, anche Legambiente ha sottolineato la situazione allarmante delle zone umide in Italia, per vari motivi, anche apparentemente contrastanti, ma spesso legati dalla stessa causa.
L’innalzamento del livello del Mediterraneo potrebbe portare alla sparizione di ampi tratti di coste che ospitano le zone umide, come le lagune costiere dell’Adriatico settentrionale (Delta del Po, Laguna di Venezia, Lagune di Grado-Marano a Panzano), il Golfo di Cagliari, la costa tra Manfredonia e Margherita di Savoia. Allo stesso tempo, anche la siccità prolungata in tante zone d’Italia minaccia le zone umide, che sono di fronte ad un declino inarrestabile: in tre secoli, tra il 1700 e il 2000, il nostro Paese ha perso il 75% delle zone umide.
Sempre Legambiente, nel report Ecosistemi acquatici 2025, fa sapere che tra le varie zone umide a rischio in Italia, ce ne sono alcune particolarmente minacciate. In primis, il già citato Delta del Po devastato dalla siccità e dall’innalzamento del livello del mare che inquina le falde acquifere con la risalita del cuneo salino che impatta sulla biodiversità, sull’agricoltura e sull’approvvigionamento idrico. Ma anche il Lago Trasimeno in Umbria, il Lago di San Giuliano (Matera) in Basilicata o il Lago di Pertusa (Enna), che hanno registrato riduzioni significative della piovosità e dei volumi d’acqua (nel caso di Pertusa il lago si è completamente prosciugato, minacciando la sopravvivenza degli uccelli migratori).
Altre zone umide a rischio in Italia sono le ‘piscine naturali’ della Tenuta Presidenziale di Castelporziano: la crisi climatica e l’estrazione dell’acqua dalle falde sotterranee hanno causato la perdita, dal 2000 a oggi, del 43% di questi invasi d’acqua naturali chiusi, che sono sempre più fragili habitat di diverse specie, anche rare, nonostante gli investimenti e gli sforzi di enti di ricerca che collaborano con la Tenuta, come l’ENEA e le Università di Roma La Sapienza e Roma Tre.
Legambiente: “Governo italiano in ritardo”
Legambiente ha poi lanciato un appello al governo, dal momento che l’Italia è in ritardo nell’applicazione del Regolamento europeo per il ripristino della natura e della Strategia Ue sulla biodiversità per il 2030.
“Chiediamo un impegno serio non solo nel mettere a punto risorse economiche e interventi sulla crisi climatica, ma anche nella protezione e nel ripristino degli ecosistemi acquatici e delle zone umide. In piena crisi climatica, il valore delle zone umide e degli ecosistemi acquatici cresce considerevolmente: immagazzinano carbonio, assorbono le piogge in eccesso, rallentano l’insorgere della siccità e riducono al minimo la penuria d’acqua” – spiega Stefano Raimondi, responsabile biodiversità dell’associazione ambientalista – “Il governo recuperi i ritardi, anche se ha fortemente osteggiato la Nature Restoration Law, riforma fondamentale che impone di presentare, entro il 1 settembre 2026, un piano nazionale di ripristino alla Commissione europea per riportare da cattive a buone condizioni almeno il 30% degli habitat entro il 2030 e il 90% entro il 2050. Fondamentale anche per affrancarsi dal numero alto di richiami che l’Italia riceve dall’Ue per il mancato rispetto delle direttive sulla biodiversità, come la direttiva Uccelli e il regolamento REACH“.
Allarme zone umide nel mondo
Non va meglio nel resto del mondo: il report IPBES stima che l’85% delle zone umide rischia di scomparire, e con esse almeno 4.294 specie animali d’acqua dolce sulle 23.496 inserite nella Lista Rossa dell’IUCN (tra cui il 30% dei crostacei decapodi come gamberi, granchi e gamberetti, il 26% dei pesci d’acqua dolce e il 16% degli odonati come libellule e damigelle).
L’articolo Giornata mondiale delle zone umide, allarme in Italia proviene da Notizie da TeleAmbiente TV News.