Christine Lagarde, presidente della BCE, ha sottolineato come le tensioni commerciali, alimentate dagli annunci di dazi di Trump, possano rallentare ulteriormente la crescita europea, spingendo verso ulteriori tagli dei tassi. Il governatore della Banca del Canada, Tiff Macklem, ha espresso lo stesso timore, evidenziando i rischio per l’economia canadese. Il risultato? Il dollaro si rafforza, rendendo più costose le esportazioni statunitensi e più convenienti le importazioni. Una situazione che mina il mantra trumpiano del “riequilibrio” commerciale, secondo Howard Schneider della Reuters.
LA RESISTENZA SOLITARIA DELLA FED
Mentre le altre banche centrali agiscono, la Fed dunque resta ferma. Il presidente Jerome Powell ha ribadito che non c’è fretta di intervenire, rimandando eventuali tagli a una futura revisione dell’inflazione. Un atteggiamento che ha già irritato Trump, il quale aveva dichiarato di “pretendere” tassi più bassi, ma che rischia di ottenere l’effetto opposto: una politica monetaria divergente che rafforza la valuta americana.
La situazione evidenzia il paradosso della politica economica statunitense: la crescita resta solida, l’inflazione sotto controllo, ma le tensioni commerciali e le incertezze politiche costringono la Fed a muoversi con prudenza. Diane Swonk, economista di KPMG, ha definito la banca centrale in un “purgatorio politico”, costretta ad attendere in un contesto dominato da decisioni presidenziali imprevedibili.Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it