Con il caso Almasri caldissimo, il Corriere della Sera ha intervistato il ministro dem che nel 2017 firmò l’accordo con la Libia che fa da quinta alle polemiche sugli sbarchi e sui “ricatti” che Meloni è accusata di subire sulla politica migratoria. Minniti ha smesso con la politica, “da non pentito” precisa. Ora presiede la fondazione Med-Or. E ribadisce a scanso di equivoci che Almasri con il trafficante Bija “non c’entra nulla. Bija venne qui con un programma di formazione del governo libico gestito da Onu e Ue. Io non l’ho mai incontrato. Noi dobbiamo abituarci alla guerra del bene contro il bene, come dicono gli inglesi. L’unipolarismo occidentale è finito e non è alle viste un multipolarismo virtuoso. La sicurezza nazionale è cruciale. Lo Stato deve garantire questo, non è una ong”. E “la Libia è strategica”.
“La Libia era ed è una questione di interesse nazionale al suo livello più alto: la sicurezza nazionale, cioè l’incolumità anche fisica di ogni cittadino. Un pezzo grande di sicurezza nazionale si gioca fuori dai confini nazionali. E’ la base più avanzata dei trafficanti di esseri umani. Secondo: vi si gioca una partita energetica essenziale, come si è visto nella vicenda ucraina. Terzo: l’Africa è il principale incubatore di terrorismo internazionale e solo qualche anno fa la capitale moderna della Libia, Sirte, era in mano allo Stato Islamico”.
Insomma, Minniti difende quell’intesa: “Quando firmiamo il Memorandum coi libici l’intesa viene fatta propria dall’Unione europea. E da noi il Memorandum è stato confermato due volte. Con quell’accordo l’Onu poté entrare in Libia: prima se ne occupava da Tunisi. Non tutto è stato risolto, ma c’era una visione. Io ho fatto il ministro solo sedici mesi, non sedici anni. E vorrei ricordare che ogni volta che partiva un pullman di migranti veniva bloccato dalle barricate per le strade”.
Poi lo stesso ex ministro ammette che “non capiamo che sono un dato strutturale, non un’emergenza. Non chiamiamole più migrazioni ma movimenti di persone. Dobbiamo stare molto attenti alla trappola dell’identità”.
E sull’Albania? “A situazioni strutturali non puoi opporre misure emergenziali. Devi coinvolgere i Paesi di partenza. Peraltro, gli accordi bilaterali, discutibili o meno, non solo con la Libia ma anche con la Tunisia o la Costa d’Avorio, hanno funzionato. Il rapporto con l’Africa è strategico. Non funziona l’idea dei Paesi terzi. Sul Ruanda, Sunak ha portato al collasso i conservatori inglesi. L’Europa deve stabilire con l’Africa un rapporto da pari a pari. Unione Europea e Unione Africana facciano un patto per le migrazioni legali, chiedendo all’Africa lotta ai trafficanti”.Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it