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Difesa comune, per l’Ue è il “tempo delle scelte”


ROMA – ‘Difesa europea: molto è stato fatto, ma dobbiamo fare di più e insieme’. Il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha aperto con queste parole a Bruxelles un vertice informale dei 27 leader europei, il primo interamente dedicato al tema della difesa. D’altronde, la Commissione ‘Von der Leyen bis’ per la prima volta ha istituito anche la figura del commissario alla Difesa. L’obiettivo, gettare le basi di un sistema di difesa comune che, passando per un rafforzamento dell’industria bellica e dei singoli eserciti nazionali, possa rendere il blocco meno dipendente dalla Nato.

Finora, l’Ue aveva soddisfatto le proprie esigenze di sicurezza, da un lato, contando sull’Alleanza atlantica, e dall’altro, affidandosi ai meccanismi di pace delle Nazioni Unite. Ma, convinti che il mondo sia cambiato, i leader europei intendono rivedere il paradigma. ‘La guerra in corso in Ucraina, i cyberattacchi e gli attacchi ibridi e la situazione in Medio Oriente invocano un approccio europeo forte per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini e la pace nel continente’ ha detto Costa. Che ha annunciato: ‘Abbiamo fornito alla Commissione europea e al Consiglio linee guida politiche in tema di competenze e finanziamenti, e in materia di relazioni con la Nato, gli Stati Uniti e il Regno Unito. È giunto il momento delle scelte’. E ancora: ‘Il rafforzamento dell’industria della difesa deve essere al centro di questa strategia’.

Le linee guida che Costa ha citato non consistono in una dichiarazione conclusiva e vincolante, ma in un ‘compito’ per la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che il 19 marzo dovrà presentare il ‘Libro bianco sulla Difesa’. Il nodo, infatti, sono i finanziamenti. Secondo stime della Commissione, la spesa europea per la difesa dovrebbe raggiungere i 500 miliardi di euro nell’arco dei prossimi dieci anni. Nel budget per il periodo 2021-2027, ne sono stati stanziati o ne sono previsti circa 11. I leader europei chiedono pertanto altri strumenti, ma lo scorso 3 febbraio né Costa, né der Leyen, né tantomeno il primo ministro polacco Donald Tusk – che ha la presidenza di turno dell’Ue – hanno fatto cenno a un sistema di prestito comune (ideato per rispondere alla pandemia) di cui si parla già da mesi. L’emissione di Eurobond per comprare armi sarebbe la soluzione ideale per Francia, Spagna, Polonia, Paesi baltici e Italia. La premier Giorgia Meloni a dicembre ha chiesto di avviare ‘un dibattito concreto’ sul tema, avvertendo che tale denaro ‘non serve a creare guerre ma difendere la nostra libertà’. A chi lamenta ‘il peso forte degli Usa nell’Alleanza Atlantica’, replica: ‘c’è un prezzo che si paga a non demandare ad altri la propria sicurezza’. Ma le obbligazioni europee è un tema che al momento divide, e tra i più convinti oppositori ci sono Germania, Belgio e Paesi Bassi.

Dal vertice a Bruxelles, che si è tenuto lunedì scorso, è emerso invece uno spiraglio per chi spera in regole più flessibili attraverso una riforma del Patto di stabilità, tra cui il nostro governo. La premessa di Von der Leyen: ‘Serve un aumento significativo delle spese per la difesa’. Quindi, ha detto la presidente, ‘per tempi eccezionali è possibile valutare misure eccezionali nell’ambito del Patto di stabilità’. Finora, le regole sono state il contenimento del debito sotto la soglia del 60% del Pil e del deficit sotto il 3%. Chi viola questi parametri può incorrere nella procedura di infrazione, come accaduto all’Italia nel giugno scorso.

Sul tema, gli Stati chiedono che le spese della difesa siano incluse nel computo del deficit. D’altronde, come è stato evidenziato al vertice informale, a partire dal 2021 la spesa nazionale per la difesa da parte dei 27 Stati membri è cresciuta del 30%, pari a oltre 326 miliardi di euro, e si stima un aumento di altri 100 entro il 2027. La Commissione ha annunciato che ‘esaminerà le flessibilità all’interno delle nuove regole di governance economica, per consentire una maggiore spesa nazionale per la difesa’.Al contempo, però, la presidente Von der Leyen ha posto una condizione: ‘Spendere miliardi dei contribuenti’ per comprare armi, mezzi ed equipaggiamenti, ‘deve portare a un ritorno in termini di know-how e posti di lavoro di qualità’.

È stato però evidenziato il fatto che ‘oggi, in media, i 23 Stati membri che sono anche alleati della Nato spendono circa il 2% del loro Pil per la difesa’. Il vertice del 3 febbraio, in realtà, è stata anche occasione per affrontare le future relazioni dell’Ue con Donald Trump. Solo il giorno prima, il presidente americano aveva annunciato: ‘I dazi alle importazioni colpiranno sicuramente l’Ue’. L’obiettivo è stimolare i 27 Paesi ad acquistare più automobili, prodotti agricoli ma anche armi statunitensi. Da tempo Trump chiede che i Paesi Nato aumentino le spese per la Nato al 2%, un obiettivo che sono di recente, Trump ha ‘aggiornato’ addirittura il 5% del loro Pil.Tramite la partecipazione del segretario Nato, Mark Rutte, i leader Ue hanno comunque ribadito che ‘gli Stati Uniti sono nostri amici, nostri alleati e nostri partner’.

Costa ha incontrato anche il primo ministro britannico Keir Starmer, rompendo il ghiaccio dopo cinque anni: è stata la prima volta dall’uscita del Regno Unito dall’Ue che un premier del Regno Unito ha partecipato a un vertice europeo. ‘Londra è nostro partner naturale’, ha assicurato il presidente del Consiglio Ue, confermando che c’è ‘nuova energia positiva nella nostra relazione’. Costa ha aggiunto: ‘Possiamo fare molto anche in tema di Difesa; attendo con impazienza il nostro vertice comune, questo semestre’.

La costruzione di ‘un’Europa della difesa’ però ha attirato varie critiche da parte di partiti ma anche organismi della società civile – sindacati, ong, movimenti – che denunciano l’abbandono della vocazione pacifista dell’Ue a favore di una nuova ‘militarizzazione’. Commenta per l’agenzia Dire Francesco Vignarca, di Rete pace e disarmo: ‘Oggi si parla, da un lato, di budget europeo per la difesa e, dall’altro, di spese nazionali singole per la difesa. Questo rivela che non c’è un progetto comune e coerente, bensì un tentativo di accaparramento di fondi’. Ancora Vignarca: ‘Il risultato è spingere gli Stati a spendere di più. E come si fa? Investendo in nuovi sistemi d’arma, perché rafforzare gli eserciti richiede tanto tempo’. Il tema dell’esercito europeo per ora resta fuori. Secondo il responsabile di Rete pace e disarmo, ‘questo approccio porta un vantaggio solo all’industria militare’. Per Vignarca però il vero problema è che ‘si lavora a una difesa europea senza affrontare il fatto che non abbiamo una politica estera comune. Se anche raggiungessimo un meccanismo unificato, come sarà impiegato? Chi orienterà le scelte?’

Il 31 gennaio, un tentativo di rispondere a questi timori è stato fatto da un gruppo di circa 30 eurodeputati e politici italiani, che ha annunciato la nascita dell’Intergruppo informale per la pace al Parlamento europeo. Promosso dall’europarlamentare del Partito democratico (Pd) Marco Tarquinio, che ha accolto l’idea giunta dalla Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace, il nuovo organismo si propone di monitorare le azioni delle istituzioni Ue in materia di difesa e sicurezza. Alla Dire, Tarquino dichiara: ‘Ci opponiamo a chi continua a promuovere l’idea secondo cui la difesa europea sia soltanto militare, quando in realtà prevede anche la componente politico-diplomatica e tutti quegli strumenti non violenti che sono stati nel Dna dell’Unione, dopo gli anni tragici della Seconda guerra mondiale. Il nostro intergruppo intende incalzare Consiglio e Commissione al rispetto dei nostri valori fondanti’. Per l’eurodeputato, ‘il rischio che la Commissione difesa si trasformi in una commissione per la spesa militare e non per la spesa europea è concreto’. Ancora Tarquinio: ‘Così com’è concepita, questa politica andrà a vantaggio delle grandi aziende belliche americane, come d’altronde Trump sta reclamando a gran voce da tempo’.A mettere in guardia è anche la segretaria del Pd, Elly Schlein: ‘La difesa è un tema importante ma attenzione: gli investimenti sulla sicurezza non devono togliere alcunché alla spesa sociale’.
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