ROMA – Il palco dell’Ariston si tinge di bianco e nero. Il pubblico trattiene il fiato. Le luci calano e, nel buio della scena, emerge la sagoma di Damiano David, solo, in piedi davanti al microfono.
Niente Måneskin, solo lui e la musica. Il pianoforte attacca le prime note di Felicità, il brano di Lucio Dalla scelto per il suo omaggio al cantautore bolognese.
Dietro di lui, su una panchina illuminata da un flebile cono di luce, siedono Alessandro Borghi e un bambino. L’attore ha lo sguardo assorto, le mani intrecciate tra le ginocchia. Il piccolo al suo fianco, avrà sette, forse otto anni, segue la scena con gli occhi spalancati.
Damiano canta con rispetto, senza stravolgere l’originale, ma lasciando emergere il suo timbro graffiato. La voce si fa via via più intensa, tocca corde profonde. La platea è immobile, il pubblico sembra trattenere il respiro.
A metà brano, Borghi accenna un sorriso appena accennato. Il bambino, invece, non trattiene l’emozione. Lo si vede portarsi le mani al volto, asciugarsi furtivamente le lacrime con le maniche del golfino. Una scena che colpisce, mentre la voce di Damiano si libra nell’Ariston, portando con sé il peso di un’eredità musicale immensa.
L’ultimo acuto si dissolve nel silenzio. Una frazione di secondo, poi l’esplosione degli applausi. Standing ovation. Damiano abbassa lo sguardo, accenna un piccolo inchino, poi si volta. Borghi si alza dalla panchina, posa una mano sulla spalla del bambino e gli sussurra qualcosa all’orecchio. Lui annuisce, ancora scosso.
Damiano lascia il palco senza clamore, senza parole. Borghi si dice emozionato per aver assistito al suo talento. È stato un momento, un frammento di Sanremo che resterà impresso. Ma tornerà.
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