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Terzo settore, sarà decisivo per il Referendum sulla Cittadinanza


ROMA – Tra il 15 aprile e il 15 giugno si terrà in Italia il referendum sulla riforma della legge di cittadinanza, con la possibilità di abrogare l’articolo 9 della legge del 1992. La proposta: dimezzare da dieci a cinque gli anni di residenza legale per i cittadini extra Ue sul territorio italiano, necessari per presentare richiesta di cittadinanza. A dare luce verde al quesito referendario è stata a gennaio la Corte costituzionale, che lo ha definito “omogeneo, chiaro e univoco” e pertanto lo ha inserito nella lista dei referenda “ammissibili” per la primavera prossima.

I NUMERI A SOSTEGNO DEL REFERENDUM

La proposta referendaria di iniziativa popolare è approdata al vaglio della Consulta grazie al sostegno di alcuni parlamentari di opposizione, ma soprattutto del lavoro di diverse organizzazioni del terzo settore, che denunciano come 914.860 alunni in Italia non siano riconosciuti italiani dalla legge. Più in generale, questa situazione colpisce quasi due milioni e mezzo di persone straniere stabilmente residenti. Non avere i documenti italiani crea una serie di restrizioni, in particolare ai più giovani: impedisce ad esempio agli atleti di accedere a competizioni sportive con la maglia azzurra, oppure agli studenti di fare viaggi e scambi culturali all’estero o di accedere ai concorsi pubblici o stage in altri Paesi.Così, una rete di associazioni per i diritti degli “italiani senza cittadinanza” ha fatto ricorso al diritto, previsto dalla Costituzione, di proporre un referendum abrogativo della clausola dei dieci anni di residenza contenuta nella legge del 1992. In prima battuta, la proposta doveva ottenere il sostegno di 500mila elettori prima di passare alla valutazione dalla Corte costituzionale. Lo scorso 4 settembre, la proposta è stata depositata in Cassazione, mentre contemporaneamente veniva lanciata la campagna “Figlie e figli d’Italia”. Ai cittadini la possibilità di aderire tramite il portale del ministero dell’Interno, accedendo con Spid o carta elettronica digitale. Il 30 settembre, l’iniziativa si è conclusa con 637.487 firme: 137.487 in più rispetto a quelle richieste per legge.

CITTADINANZA, UNA QUESTIONE DI “IUS”

Nel frattempo, il tema ha riacceso il dibattito politico, sebbene la proposta di ‘Figlie e figli d’Italia’ non entri nel merito delle diverse “formule” dibattute negli anni: ius soli o ius scholae. Attualmente in Italia la cittadinanza si ottiene per ius sanguinis, ossia il diritto di sangue; il neonato diventa italiano per discendenza o filiazione, un diritto a cui possono attingere anche cittadini all’estero se, tramite ambasciata o consolato, riescono a dimostrare di avere discendenti italiani.Quanto all’Italia, ciò implica che, salvo rare eccezioni, il bambino nato nel nostro Paese da genitori stranieri non possa ottenere la cittadinanza, cosa che invece è prevista in altri Stati dove vige il principio dello ius soli, il “diritto di suolo”. Quanto allo ius scholae, è il diritto di ottenere la cittadinanza dopo aver completato un ciclo scolastico.

LA “LINEA TAJANI” CHE DIVIDE LA MAGGIORANZA: LO IUS ITALIAE

A sostenere questa linea è il vicepremier e ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani: “Dare la cittadinanza dopo 10 anni di scuola ai ragazzi regolari” secondo il vice-primo ministro “è una proposta che integra, perché costringe ad andare a scuola”. Una proposta che il segretario di Forza Italia ha ribattezzato “ius Italiae: è più rigorosa delle norme attuali, perché è meglio integrare attraverso 10 anni di frequentazione scolastica piuttosto che dopo 10 passati magari bighellonando”. Tajani ha evidenziato: “Ci sono 900mila giovani che aspettano una risposta e noi gliela dobbiamo, perché non sono tutti pericolosi sovversivi”.Una posizione che ha diviso la stessa maggioranza di governo. La Lega di Matteo Salvini ha subito bocciato la proposta, richiamando l’urgenza di “lavorare per toglierla a chi compie reati gravi”. Per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, quella italiana “è un’ottima legge sulla cittadinanza”. Meloni ha sottolineato che l’Italia “è una delle nazioni che concede il maggior numero di cittadinanze”, anche “tra i minori”. Secondo Meloni, sussiste un problema alla base della cittadinanza agli under 18: “La stragrande maggioranza dei Paesi non riconosce la doppia cittadinanza”.Il rischio secondo la premier è che, se la famiglia decidesse di tornare in visita in patria, “i figli si ritroverebbero stranieri nei Paesi di origine. La soluzione non è questa”. Un tema che invece per la premier “va affrontato” riguarda “i tempi per ottenere la cittadinanza una volta che è stato dimostrato che l’individuo ha diritto di averla, che siano giovani o meno. Sappiamo che possono trascorrere fino a due anni e avevo già chiesto di affrontarlo per capire come risolverlo”.

COSA DICONO I DIRETTI INTERESSATI

A motivare l’esigenza della riforma sono gli stessi protagonisti dell’iniziativa, ossia i giovani senza cittadinanza: “Posso parlare romano, calabrese, punjabi e indi: vorrei che l’Italia usufruisse delle mie competenze, esperienze e titoli di studio. Tutti noi giovani con background migratorio li mettiamo a disposizione” assicura Deepika Salhan, attivista della campagna ‘Dalla parte giusta della storia’, che ricorda: “In Italia, uno studente su 10 ha un background migratorio, ma senza cittadinanza non può neanche viaggiare. Si dovrebbero organizzare invece scambi anche coi nostri Paesi d’origine, permettendo a chi studia cooperazione di fare ad esempio degli stage presso le ambasciate italiane nel mondo”. Una posizione ribadita anche da Sanga Abdoul Malik, studente di giurisprudenza e attivista, che suggerisce: “L’italia dovrebbe investire nella formazione. Noi giovani stranieri non siamo qui per creare problemi ma realizzare sogni e obiettivi, tutti diversi”.Chi non ha la cittadinanza denuncia di essere costretto a lunghe trafile burocratiche per il rinnovo del permesso di soggiorno. Questo non risparmia i bambini e i giovani. A fine gennaio, il tema è stato rilanciato dai giornali italiani dopo la vicenda di una studentessa di 18 anni nata e cresciuta in Italia, accompagnata alle 5 del mattino all’ufficio immigrazione di Torino dalla sua professoressa di italiano, per assicurarsi che le procedure andassero a buon fine e la giovane non perdesse la possibilità di accedere all’esame di maturità. ‘È brutto ammetterlo- ha detto la docente alla studentessa- ma forse, vedendoti con una persona dalla pelle bianca, ci faranno entrare”.A chi teme che la riforma possa incoraggiare l’immigrazione irregolare, il deputato e segretario di +Europa Riccardo Magi ha commentato: “Questa è una gigantesca fake news perché, quando si parla di cittadinanza, si parla di cittadini regolari legalmente residenti che pagano le tasse, non hanno precedenti penali, mandano i figli a scuola e hanno un reddito minimo”. Il 4 settembre è stato il partito di Magi a depositare il quesito in Cassazione.”Chiediamo di cambiare le cose: d’altronde si parla sempre di scarsa affluenza alle urne: non vogliamo nuovi giovani che non vedono l’ora di votare?” afferma invece Bertrand Honoré Mani Ndongbou, presidente del Coordinamento italiano delle diaspore per la cooperazione internazionale (Cidci), lanciando un appello dalla sesta edizione del Summit nazionale delle diaspore, che si è tenuto a Roma lo scorso 22 febbraio.

NELLE SCUOLE ITALIANE OLTRE 900 MILA ALUNNI “CNI”

Secondo dati del Rapporto Ismu 2024 sulle Migrazioni, oggi in Italia ci sono 914.860 alunni con cittadinanza non italiana (Cni), pari all’11,2% sul totale degli iscritti (8.158.138), dalle scuole dell’infanzia alle secondarie di secondo grado. Per quanto riguarda la provenienza, gli studenti sono originari di circa 200 Paesi diversi. In particolare, il 44% è di origine europea; più di un quarto è di origine africana; attornoal 20% asiatica e quasi l’8% dell’America Latina. La cittadinanza più numerosa è rappresentata dalla Romania, con quasi 149mila studenti. Seguono: Albania (118mila presenze) e Marocco (114mila).
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