Le microplastiche possono alimentare la resistenza agli antibiotici, fornendo ai batteri una superficie su cui attaccarsi e proliferare.
Se nelle piante possono inibire la fotosintesi, nell’organismo umano possono aumentare la resistenza agli antibiotici. Stiamo parlando delle microplastiche i minuscoli frammenti che si trovano ormai ovunque e che oltre a interferire con gli ecosistemi e la biodiversità hanno effetti anche sugli esseri umani.
Si sono fatte strada nella catena alimentare, si sono accumulate negli oceani e, se non si agisce per fermare l’inquinamento da plastica con azioni urgenti, i rifiuti dispersi nell’ambiente potrebbero aumentare del 40% entro il 2040. Attraverso l’ingestione e l’inalazione anche il nostro organismo contiene microplastiche in quantità preoccupanti e, secondo un nuovo studio, potrebbero avere un effetto devastante: alimentare la resistenza agli antibiotici.
È quanto scoperto dal team di scienziati dell’Università di Boston che ha esposto i batteri alle microplastiche, rilevando che diventano resistenti ad alcuni tra gli antibiotici più comuni. Quanto emerso da questa ricerca è particolarmente preoccupante per coloro che vivono nelle aree più povere e densamente popolate, come gli insediamenti di rifugiati e migranti, dove i rifiuti in plastica si accumulano e le infezioni batteriche si diffondono facilmente.
“Il fatto che ci siano microplastiche intorno a noi, e ancora di più nei luoghi poveri dove i servizi igienici possono essere limitati, è una parte sorprendente di questa osservazione”, spiega Muhammad Zaman, professore di ingegneria biomedica al Boston University College of Engineering che studia la resistenza antimicrobica e la salute dei rifugiati e dei migranti. “C’è sicuramente la preoccupazione che questo possa rappresentare un rischio maggiore nelle comunità svantaggiate, e ciò non fa che sottolineare la necessità di una maggiore vigilanza e di una comprensione più approfondita delle interazioni tra microplastiche e batteri”.
In laboratorio, i ricercatori hanno testato come un batterio comune – l’Escherichia coli – reagisce alla presenza di microplastiche in un ambiente chiuso. “La plastica fornisce una superficie a cui i batteri si attaccano e colonizzano”, afferma Neila Gross, dottoranda in scienza e ingegneria dei materiali presso l’ateneo e autrice principale dello studio.
Quando si attaccano alle superfici, i batteri creano un biofilm appiccicoso che funge da scudo e li protegge dagli invasori, mantenendoli attaccati. La microplastica ha potenziato i batteri così tanto che quando gli antibiotici sono stati aggiunti alla miscela non sono stati in grado di penetrare lo scudo. “Abbiamo scoperto che i biofilm sulle microplastiche, rispetto ad altre superfici come il vetro, sono molto più forti e spessi, come una casa con un isolamento termico molto efficace”, afferma Gross. “È stato sbalorditivo da vedere”. I test sono stati ripetuti più volte con diversi tipi di antibiotici e materiale plastico. I risultati sono rimasti coerenti ogni volta. “Stiamo dimostrando che la presenza della plastica non si limita a fornire una superficie su cui i batteri possono aderire, ma sta effettivamente portando allo sviluppo di organismi resistenti”, afferma Zaman.
Si stima che ogni anno ci siano 4,95 milioni di decessi legati a infezioni resistenti agli antimicrobici. I batteri sviluppano la resistenza agli antibiotici per diverse ragioni, tra cui l’uso improprio dei farmaci. Un altro fattore che influisce molto è il microambiente – l’ambiente che circonda il microbo – dove batteri e virus si replicano. Secondo Zaman, la presenza delle microplastiche può aggiungere un altro elemento di rischio per i sistemi sanitari che gestiscono i rifugiati.
Esposizione alle microplastiche, quali conseguenze per la salute?
Gross e Zaman affermano che il prossimo passo della loro ricerca è capire se le loro scoperte in laboratorio si traducono nel mondo esterno. La speranza è di osservare i campi profughi alla ricerca di batteri e virus resistenti agli antibiotici correlati alla microplastica, per capire cosa consente ai microbi di aggrapparcisi così bene.
In vent’anni di studi sulle microplastiche gli scienziati le hanno rilevate davvero dappertutto: nell’acqua, nell’aria, nel terreno e negli organi umani. Per quanto riguarda le conseguenze negative sull’organismo, finora l’unico studio che ha dimostrato la correlazione tra la presenza delle particelle e dei danni alla salute è stato quello condotto presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. Lì, un team di ricercatori, guidati dal dott. Paolisso, ha rilevato la presenza delle microplastiche nelle placche ateroslerotiche, con il conseguente aumento del rischio di infarti e ictus.
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