Il caffè è destinato a diventare una bevanda di lusso? Così sembrerebbe se si considerano le tendenze di lungo periodo e l’impatto devastante che hanno gli effetti del cambiamento climatico.
Nell’ultimo anno la siccità eccessiva ha causato una perdita del 20% della produzione in Vietnam, al contrario in Indonesia le piogge torrenziali hanno comportato una riduzione del 23% delle esportazioni. Anche il Brasile, il più grande esportatore di Arabica al mondo, ha risentito degli effetti della crisi climatica determinando un calo della produzione.
La FAO, nel suo ultimo Report a cura degli analisti El Mamoud Amrouk, Fabio Palmeri ed Emiliano Magrini, attesta la situazione. Il settore vale a livello globale 200 miliardi di dollari. Nel solo 2024 l’aumento del prezzo ha sfiorato il 40% rispetto al 2023.
Nell’anno appena trascorso il costo dell’Arabica è aumentato del 58%, quello della Robusta del 70%. Le proiezioni per il 2025 vedono il prezzo aumentare a causa del cosiddetto “shock dei prezzi” che si traduce in aumento dei prezzi al dettaglio in quattro anni. Il riflesso del rincaro appena verificatosi si vedrà quindi nei prossimi anni al bar.
Sul settore pesa anche la diseguale distribuzione del prezzo del prodotto, con i piccoli produttori costretti a vendere la materia prima a costi che non gli permettono di garantirsi una sussistenza. Un caffè etico non può non remunerare chi lo coltiva in modo adeguato, tale aumento dovrà riflettersi nel costo finale della tazzina.
Il futuro però potrebbe essere più sostenibile grazie all’innovazione. Il futuro del mercato potrebbe essere rivoluzionato dalle aziende che hanno già messo in vendita il caffè ottenuto in laboratorio. Soprattutto per i prodotti che mischiano il caffè con altri ingredienti, preparati a base di caffè, cappuccini e “mokaccini”, il passaggio sembra ineluttabile, stessa sorte potrebbe capitare al cioccolato. Su questo fronte però si prevedono più resistenze.
Questo passaggio al prodotto ottenuto in laboratorio è sostenuto recentemente in un articolo del Wall Street Journal, che parte dall’enorme quantità di caffè consumato al mondo, 2 miliardi di tazzine al giorno. Tenendo conto della produzione media di caffè, ogni pianta produce al massimo 900 grammi all’anno, ci vogliono 20 alberi per soddisfare i bisogni di ogni persona che consuma almeno due tazze di caffè al giorno.
Grazie a una ricerca dell’ENEA è stato possibile fare un ulteriore passo in avanti per la sostenibilità del prodotto. “Gli scarti del chicco di caffè sono spesso considerati un problema ma, grazie alla ricerca scientifica, possono trasformarsi in ‘miniere’ di molecole benefiche, come antiossidanti, polifenoli, carotenoidi, flavonoidi e minerali, per realizzare prodotti a valore aggiunto per vari settori”, aveva spiegato la ricercatrice ENEA Loretta Bacchetta.
Il Messico è stato scelto per la ricerca poiché proprio nella Sierra de Zongolica, a Veracruz si coltiva un caffè senza uso di pesticidi e sostanze chimiche di alcun tipo. Come ricordato dai ricercatori, in questa parte del mondo la lotta contro gli effetti del cambiamento climatico è particolarmente sentita dai coltivatori che ottengono solo il 20% del guadagno dalla vendita del prodotto. Importante è quindi la possibilità di utilizzare le bucce essiccate del caffè come fertilizzante e infuso per bevande. Ma i ricercatori ritengono che potrebbero essere utilizzate anche come additivo nutrizionale.
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