PRATO – Sette fra dirigenti e responsabili di Eni, oltre a due persone riconducibili a Sergen, l’impresa esecutrice dei lavori di manutenzione, sono indagati per il disastro del deposito carburanti di Calenzano (Firenze) del 9 dicembre dell’anno scorso. L’esplosione e l’incendio causarono la morte di 5 persone e il ferimento di altre 27, in aggiunta a danni ad auto, tir, imprese e abitazioni adiacenti. La procura di Prato, guidata da Luca Tescaroli, ha annunciato oggi i primi nove indagati. Nei loro confronti si ipotizzano a vario titolo le fattispecie di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni personali colpose. Indagata anche Eni per responsabilità amministrativa in quanto, secondo quanto ricostruiscono gli inquirenti, sprovvista di un modello organizzativo in grado di contenere misure precauzionali atte a impedire la situazione di rischio che ha prodotto le esplosioni e l’incendio. La procura ritiene di avere individuato le “cause profonde” del disastro. All’origine ci sarebbe stata una “evidente sottovalutazione” delle interferenze fra attività di imprese al deposito Eni di via Erbosa che, a propria volta, avrebbe portato a un “errore grave e inescusabile”.
In breve, quella mattina durante un’attività di modifica dell’impianto affidata dal colosso degli idrocarburi al raggruppamento Sergen-Nolitalia di Viggiano, la fuoriuscita di benzina a pressione da una fessura che si è aperta in una flangia svitata dagli operatori della ditta esecutrice sotto una delle valvole, la 577, nei corridoi di servizio dell’area pensiline adiacente alla corsia di carico delle autobotti numero 7 ha prodotto una nube di aerosol. Con la perdita di benzina e la nube in circolazione mancava soltanto l’innesco. A determinarlo per la procura, che descrive questa ipotesi in termini di “maggiore probabilità”, sarebbe stata una parte calda del motore a scoppio della piattaforma elevabile utilizzata dagli incaricati di Sergen. L’abbrivio di una catastrofe che a quel punto si è sviluppata per fasi successive, ma a distanza molto ravvicinata. Le risultanze dell’inchiesta parlano nello specifico di una deflagrazione in quattro tempi: una prima esplosione dell’aerosol che si era raccolto fra le grate della fossa di servizio, una seconda detonazione decisamente più potente che si stima essere avvenuta un decimo di secondo dopo con l’incendio in successione delle autobotti ferme nelle corsie 6, 5 e 3. Trascorsi due minuti le telecamere di servizio hanno ripreso inoltre uno scoppio minore, mentre dopo più di sei minuti il surriscaldamento del gasolio caricato in un’autobotte che si trovava nella corsia numero 3 ha causato il cedimento della cisterna e il successivo scoppio dei vapori di gasolio.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it