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Giornata Internazionale Rifiuti Zero, focus di quest’anno su moda e tessile

L’edizione 2025 della Giornata Internazionale Rifiuti Zero istituita dall’Onu si concentra sulla moda, uno dei settori col più alto impatto ambientale.

Verso rifiuti zero nella moda e nel tessile. Questo è il tema della Giornata internazionale Rifiuti Zero che ricorre oggi 30 marzo, promossa congiuntamente dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) e dal Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (Un-Habitat).

Ogni anno vengono generati oltre 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, pari a un camion della spazzatura pieno di abiti inceneriti o gettati in discarica ogni secondo (dati Centro regionale di informazione delle Nazioni unite).

Per la prima volta, quest’anno, la giornata si incentra sull’urgente necessità di adottare misure per ridurre l’impatto dei rifiuti nella moda e nel tessile e promuovere la sostenibilità e la circolarità, quindi modelli di consumo e produzione sostenibili per affrontare la crisi dell’inquinamento da rifiuti.

Dal 2023 il Ghana è la discarica di vestiti più grande al mondo: ne arrivano 15 milioni ogni settimana. La causa principale? Il fast fashion, la moda ultraveloce che negli ultimi decenni ha rivoluzionato il modo in cui ci vestiamo. Capi a prezzi stracciati, collezioni che si rinnovano a una velocità impressionante e un modello di business basato sull’acquisto compulsivo.

Un’indagine di Greenpeace rivela che ogni settimana circa 15 mln di vecchi abiti inquinano il Ghana. Il rapporto, dal titolo “Fast Fashion, Slow Poison: The Toxic Textile Crisis in Ghana”, è un’altra testimonianza dell’impatto devastante degli indumenti usati dal Nord del mondo, quasi tutti capi di fast fashion, su ambiente, comunità ed ecosistemi nello Stato dell’Africa occidentale.

Quando scegliamo un capo di abbigliamento ci domandiamo “chi ha realizzato i miei vestiti?” Ne abbiamo parlato con Matteo Ward, cofondatore di WRÅD, attivista e imprenditore che si batte per rendere sostenibile il settore della moda e far conoscere il costo sociale e ambientale dell’industria del fast fashion in tutto il mondo.

Dove finiscono gli abiti usati gettati nei contenitori?

Se al nostro consumo si aggiunge poi un non corretto e trasparente smaltimento dei rifiuti, ecco allora che la moda, specie usa e getta, diventa ancora più impattante.

Planeta Futuro, una nuova sezione di El País dedicata all’ambiente, ha seguito le tracce di 15 indumenti grazie alla geolocalizzazione, verificando il costo ambientale e sociale del consumo di massa dei capi fast fashion, la moda a basso costo. Il risultato? La maggior parte di loro vaga ancora in giro o si trova in magazzini e terreni abbandonati. Metà di loro si è trasferita all’estero, lasciando dietro di sé un’enorme impronta di carbonio, inquinando il Sud del mondo o alimentando reti commerciali poco trasparenti.

 

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Undici mesi dopo, molti di quegli abiti sono ancora in circolazione e sette di essi hanno viaggiato all’estero, in Africa e in Asia. Tre capi di vestiario sono stati passati o bloccati in un punto di distribuzione negli Emirati Arabi Uniti.

“Molti dei capi sono ancora in viaggio da quasi un anno, ma finora i sette che hanno lasciato la Spagna hanno percorso più di 65.000 chilometri da quando li abbiamo spediti. – spiegano da Planeta Futuro – Senza contare gli oltre 36.200 pezzi di questi sette indumenti che avevano già viaggiato dal luogo in cui erano stati confezionati fino a Madrid“.

La campagna “e-commerce dell’assurdo”  lanciata da Economiacircolare.com

Smascherare l’iperconsumismo e i suoi effetti nocivi, mettendo in luce come molti degli acquisti fatti quotidianamente siano non solo inutili ma anche dannosi per l’ambiente. EconomiaCircolare.com lancia la campagna social “E-commerce dell’assurdo”,

La campagna punta a sensibilizzare le persone facendo invertire la tendenza all’iperconsumismo attraverso una riflessione critica condivisa e azioni concrete che possano sensibilizzare il pubblico sull’importanza di scelte di consumo più consapevoli. Oltre questo, la campagna invita chiunque a partecipare al “catalogo degli orrori” segnalando un oggetto da aggiungere al carrello dell’e-commerce dell’assurdo, inviando foto o link sulla chat privata dei del profilo IG oppure all’indirizzo segreteria@economiacircolare.com.

 

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