Una mappa interattiva svela la filiera tossica della produzione globale di plastica: dal fracking in Texas alle multinazionali che si nascondono dietro le catene di fornitura internazionali.
Moltissimi dei prodotti in plastica che consumiamo ogni giorno sono legati al fracking in Texas, negli Stati Uniti, tra i leader del commercio globale di etano.
A svelare la filiera tossica che lega la plastica al fracking è un’indagine di Stand.earth Research Group (SRG) e dal Center for International Environmental Law (CIEL), accendendo i riflettori sugli attori principali che guidano la crisi della plastica e del clima. I protagonisti dello studio sono nomi fin troppo noti, come Coca-Cola, PepsiCo e Nestlé.
La ricerca ha rivelato come alcune multinazionali produttrici di numerosi beni che consumiamo quotidianamente stiano guidando l’espansione dei combustibili fossili in Texas grazie alla loro costante domanda di imballaggi in plastica.
I ricercatori hanno utilizzato i dati ottenuti per realizzare la Fracked Plastics Map, uno strumento interattivo che traccia i legami tra oltre 25 importanti brand di beni di consumo e i prodotti petrolchimici ottenuti tramite il fracking nel bacino del Permiano in Texas, negli Stati Uniti. Il bacino si estende nella parte occidentale dello Stato americano e in Nuovo Messico ed è tra i più importanti giacimenti di idrocarburi. La dipendenza dei grandi marchi dal gas da fracking per la produzione da plastica sta accelerando la crisi climatica globale e devastando le comunità locali.
“In Texas, gli impianti petrolchimici inquinano l’aria e contaminano le riserve idriche, con un impatto sproporzionato sulle comunità in prima linea. Allo stesso tempo, l’impennata della produzione di plastica accelera l’inquinamento da plastica, peggiorando una crisi già fuori controllo”, spiega la ricerca di Stand.Earth.
L’indagine svela la complicità dei più grandi marchi del mondo nell’espansione del settore dei combustibili fossili e l’opacità della catena di fornitura. La mappa traccia la filiera di fornitura del gas da fracking per la produzione della plastica. Il Texas è un produttore leader, con l’80% del commercio globale di etano. I ricercatori hanno identificato tre aziende attraverso cui passano le catene di fornitura dell’etano: Ineos, Reliance Industries e Dow. Queste, a loro volta, sono collegate a oltre 25 grandi marchi di consumo.
Tra i marchi scoperti non ci sono solo Coca-Cola, Nestlé e PepsiCo ma anche Colgate Palmolive, GSK, L’Orèal, Mondelez, Unilever, Procter&Gamble.
L’etano proveniente dai pozzi di fratturazione idraulica degli Stati Uniti arriva quindi agli impianti petrolchimici in Europa e in Asia, alimentando la produzione di imballaggi in plastica e l’inquinamento conseguente. Dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua causato nei siti di fratturazione ai rifiuti dispersi nell’ambiente fino alle microplastiche, lo studio dimostra che ogni fase della filiera danneggia gli ecosistemi e le comunità.
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La filiera opaca della plastica, l’ipocrisia delle aziende e dell’Europa
Oltre a sottolineare l’urgenza di un Trattato globale sull’inquinamento da plastica per ridurne la produzione e affrontarne gli impatti lungo tutto il ciclo di vita, la ricerca mostra anche l’ipocrisia delle aziende e degli stati europei che hanno vietato le pratiche di fracking sui loro territori e rivendicano politiche di sostenibilità.
“Mentre la maggior parte dell’Europa ha vietato il fracking all’interno dei suoi confini, la sua industria della plastica, incluso il più grande produttore della regione, Ineos, fa affidamento sugli idrocarburi fratturati del Texas per mantenere in funzione la produzione”, ha affermato Delphine Lévi Alvarès, Global Petrochemicals Campaign Manager presso CIEL. “Questa indagine espone l’ipocrisia delle aziende europee che rivendicano la sostenibilità mentre esternalizzano la distruzione ambientale alle comunità in prima linea all’estero. È tempo di porre fine a questo ciclo di danni nascosti”.
Il problema dunque non riguarda solo il Texas ma si estende ben oltre i suoi confini e lo studio sottolinea come le grandi aziende continuino a danneggiare l’ambiente nascondendosi dietro all’opacità delle catene di fornitura globali.
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