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Tunisia, sgomberi nell’area di Sfax: ferito un migrante da un colpo d’arma da fuoco


ROMA – Mohammad, 25 anni, originario del Mali, stava camminando lungo la strada di un villaggio per raggiungere un supermercato e fare alcuni acquisti quando un colpo d’arma da fuoco lo ha raggiunto alla schiena, senza preavviso né motivo apparente. È successo nei pressi di Jebinuana, non lontano dalla costa orientale della Tunisia. Ora il giovane Mohammad giace su una stuoia in una tenda priva di ogni fornitura medica mentre un’infermiera tenta di bloccare l’emorragia col poco materiale che è riuscita a trovare. Siamo tra le località di Sfax e Chebba, in una zona nota come “gli uliveti”: una distesa di alberi d’ulivo e terra arancione argillosa dove da quasi due anni si sono formati piccoli campi informali abitati da migranti subsahariani, risultato delle politiche anti-migranti del governo di Tunisi.

Mohammad era uno degli abitanti di questi campi, ma nelle ultime ore ha perso tutti i suoi averi e così, spinto dalla fame, si era avventurato in un “villaggio alla ricerca di cibo, quando qualcuno ha sparato”, come racconta all’agenzia Dire uno dei compagni che lo sta assistendo, raggiunto telefonicamente. “Qualcuno deve aver usato un’arma piccola, di quelle per cacciare conigli o passeri, perché gli è stato estratto un pallino”. A ciò si aggiunge la mancanza di acqua, cibo e forniture mediche: “Non abbiamo più niente, inoltre stamani è caduta pioggia e grandine, qui intorno è tutto fango. Ci sono anche donne incinte, bambini, neonati” lamentano i migranti. Mohammad e i suoi amici, come migliaia di altri cittadini subsahariani, ha perso tutto perché, a partire dal 3 aprile, le autorità stanno conducendo operazioni di sgombero degli insediamenti informali, con agenti di polizia muniti di armi e lacrimogeni e affiancati da ruspe.

Il governo di Tunisi ha rivendicato l’azione per ragioni di ordine pubblico, ma, come raccontano i migranti, e come confermano le organizzazioni di difesa dei diritti umani, a queste persone non vengono offerti centri di accoglienza né assistenza di alcun genere; inoltre, agli operatori umanitari è vietato raggiungerli. “La situazione è catastrofica: tende e baracche vengono rase al suolo e ciò che resta è dato alle fiamme con la scusa di sanificare l’area ma, di fatto, alle persone non viene dato il tempo di recuperare vestiti, coperte, scorte di cibo” denuncia all’agenzia Dire Monia Ben Jemia, presidentessa di Euromed Rights. “Siamo stati informati del giovane colpito alla schiena e la situazione è grave perché i migranti subsahariani hanno paura di cercare aiuto: se vengono sorpresi a camminare per strada, negli ospedali o nelle ambulanze, rischiano l’arresto”.

I compagni di Mohammad con cui la Dire è in contatto denunciano: “Sappiamo che chi viene arrestato subisce percosse e la confisca dei soldi e del cellulare. Circolano anche storie di gruppi di migranti spediti al confine con l’Algeria o la Libia e abbandonati nel deserto”.Denunce che sono state confermate a partire dal 2023 in varie inchieste giornalistiche e report di organismi umanitari, che attribuiscono questo fenomeno alle politiche repressive e anti-migranti attuate dal governo del presidente Kais Saied.Quest’ultimo è firmatario di vari accordi con l’Unione europea e anche con l’Italia per fermare le partenze di migranti dalle coste tunisine, essendo la Tunisia diventata punto di passaggio di una nuova rotta migratoria dopo che i percorsi in Libia si sono fatti più difficoltosi.Ben Jemia però punta il dito contro il capo dello Stato: “Il presidente Saied nel 2023 ha fatto un discorso nel quale ha indicato nei migranti subsahariani un pericolo pubblico e di ‘sostituzione etnica’. A questi discorsi d’odio sono seguite violenze”. Come prosegue la responsabile di Euromed, “l’attuale governo ha quindi iniziato a utilizzare una legge del 1975, poi modificata nel 2004, che vieta qualsiasi forma di aiuto alle persone straniere irregolarmente presti nel Paese, comprese forme di aiuto caritatevole. Questo ha numerose implicazioni”. Primo, “impedisce ai tunisini di dare lavoro o affittare case ai migranti, ma anche di ricevere cure in ospedale o assistenza da parte delle organizzazioni della società civile”. Da qui, la nascita di campi profughi lontani dai centri abitati “privi di ogni forma di assistenza”.A ciò si è aggiunto il fatto che “sulla base di questa legge, vari dirigenti di associazioni che davano assistenza a migranti e rifugiati siano stati condannati al carcere”. Tra questi, a maggio scorso, sono finiti dietro le sbarre quattro dirigenti del Comitato tunisino per i rifugiati (Conseil tunisien pour les réfugiés, Trc). “E’ stato fondato nel 2016- continua la responsabile di Euromed Rights- e ha compiuto ogni attività sempre nel rispetto delle leggi, collaborando anche con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). I suoi dirigenti sono stati arrestati con l’accusa di aver percepito fondi illeciti dall’estero per ospitare illealmente migranti irregolari”.

La vicenda è illustrata anche in un report di Mary Lawlor, relatrice speciale sulla condizione dei difensori dei diritti umani dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani. Lawlor parla di “arresti arbitrari” seguiti “all’apertura di un appello alle strutture alberghiere, a fine aprile 2024, da parte del Trc, a presentare proposte per ospitare 57 minori migranti non accompagnati da Sfax a Tunisi, in coordinamento con l’amministrazione locale”.Stessa sorte è toccata a due dirigenti dell’associazione Tunisie Terre d’Asile e per Saadia Mosbah, presidente dell’associazione anti-razzista tunisina Mnemty, a conferma, denuncia Ben Jemia, che “neanche i tunisini di pelle nera sono più al sicuro”. La rappresentante di Euromed Rights sottolinea: “Devono girare con magliette con su scritto ‘sono tunisino’ per sfuggire alle violenze razziste di alcuni cittadini, fomentati dai discorsi d’odio delle istituzioni”.
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