ROMA – “La Riforma dell’ordinamento forense, in vigore ormai da diversi anni, ha ridotto il periodo di pratica forense da 24 a 18 mesi e per i giovani praticanti si tratta di un grosso inganno, perché non hanno la possibilità di assistere clienti a nome proprio nelle cause, ma solo di sostituire il titolare dello studio presso il quale svolgono la pratica”. Così l’avvocato Stefano Galeani, consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma, nel corso di una intervista video rilasciata al direttore della Dire, Nicola Perrone. “In questo modo i giovani praticanti, dopo aver superato l’esame si ritrovano senza una pur minima clientela. Credo che questa, in assoluto, sia la cosa che li danneggi maggiormente e che li sta facendo anche allontanare dalla professione. Sembra che oggi ci sia una piccola ripresa nelle iscrizioni all’albo dei praticanti, ma a mio avviso è dettata dalla mancanza di concorsi o da altri sbocchi nel mondo lavorativo”.
L’intento della Riforma, almeno “quello dichiarato- sottolinea il legale- era quello di agevolare i giovani nell’accesso alla professione, ma si è fatto solo un danno”. Racconta l’avvocato Galeani al direttore Perrone: “Quando feci io la pratica, dopo un anno si era abilitati ad esercitare a proprio nome la professione, entro determinati limiti, e si poteva introdurre o promuovere cause oppure difendere persone dinanzi alla Pretura o al Giudice conciliatore. Questo serviva come ‘palestra’ sia per responsabilizzare il praticante, perché quando si firma un atto a nome proprio ci si sente necessariamente più responsabilizzati e si sta anche più attenti, sia per cominciare ad avere un minimo di clientela, aspetto fondamentale per la professione. Si possono infatti avere tutte le specializzazioni del mondo, ma se non si hanno i clienti non servono a nulla. L’anno di abilitazione, quindi, serviva proprio a questo, a seguire piccole cause che però facevano prendere maggiore padronanza nelle Aule di giustizia e acquisire clientela”.
Un’altra modifica legislativa per l’accesso alla professione, prosegue l’avvocato Stefano Galeani, “ha previsto unitamente ai 18 mesi di praticantato l’obbligo di iscrizione alle scuole forensi per poter sostenere l’esame di avvocato. È un altro aspetto che non riesco a comprendere, abbiamo ragazzi che dopo 5 anni di università intraprendono il percorso della pratica, che dovrebbe essere formativo ma così non lo è, e devono obbligatoriamente iscriversi anche presso le scuole di formazione per ulteriori 18 mesi. Un modo, questo, che contribuisce a sottrarre altro tempo alla pratica in uno studio. Inoltre, si tratta di tutte scuole a pagamento, compresa quella dell’Ordine seppur quest’ultima con costi limitati se si rientra in un determinato reddito familiare, per cui le famiglie sono costrette a sopportare un ulteriore costo dopo quello universitario. E se nelle scuole si riparte poi dalla teoria, come accade, capiamo bene che servono a poco se non a far guadagnare chi le ha create”.
Infine, c’è anche l’iscrizione alla Cassa Forense, che “in generale non è amata neppure dagli avvocati con 30 o 40 anni di professione perché ha una serie di costi, che però sono ancora più pesanti da sostenere per i giovani avvocati- sottolinea l’avvocato Galeani- e l’iscrizione alla Cassa, purtroppo, è condizione per l’iscrizione all’Albo per cui bisogna versare il contributo annuale alla Cassa di previdenza stessa. In passato se un avvocato non raggiungeva un determinato limite di reddito era esentato dall’iscrizione, mentre oggi si è passati all’esatto contrario, cioè il giovane avvocato, il giorno stesso in cui si iscrive all’Albo è automaticamente iscritto alla Cassa Forense e deve iniziare a pagare, pur non guadagnando ancora un euro. Una via mediana sarebbe senz’altro più giusta per i giovani, che molto spesso dopo un anno che pagano la Cassa e non sono ancora in grado di sostenerne i costi si vedono costretti a cancellarsi dall’Albo degli Avvocati”, conclude Galeani.
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