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Il 25 aprile festa della Liberazione, ma qualcuno non si libera del passato


ROMA – Ogni 25 aprile, Festa della Liberazione, è accompagnata dalla polemica. Una giornata che questa volta si incrocia con il lutto nazionale per la morte di Papa Francesco scomparso il 21 aprile. Dai commenti che vengono dalla parte che si oppone al Governo del Centrodestra di Giorgia Meloni, in particolare, ci si concentra su ‘due indizi’: il Governo ha indetto 5 giorni di lutto nazionale, mai concessi in passato per la morte di altri pontefici. Al massimo, infatti, furono proclamati 3 giorni di lutto per Papa Wojtyla. Poi c’è stata la dichiarazione del ministro Musumeci, che pur non mettendo in discussione gli eventi organizzati in Italia ha invitato tutti a partecipare “in modo sobrio”. In questo modo, si dice con malizia, la destra cerca di depotenziare quanti vogliono ricordare la fine della dittatura fascista, la lotta per la libertà e la fine della guerra.

Al di là della polemica quotidiana, ancora una volta c’è da notare che la Festa della Liberazione sembra non riguardare tutti gli italiani, non è vissuta come momento di unità nazionale. Gli storici ne hanno più volte parlato, per esigenze politiche e quindi di parte ognuno ha tirato la ‘giacchetta’ alla ricorrenza. C’è la ragione della Resistenza, di quei 250mila italiani che presero le armi per combattere i nazifascisti. Ma non solo loro, ricordano gli storici che la Liberazione riguardò una fetta più grande della popolazione: 600mila soldati che si rifiutarono di combattere ancora a fianco dell’esercito nazista e che per questo furono deportati in campi di concentramento e di lavoro forzato; i tanti giovani che si rifiutarono, e per questo molti di loro furono fucilati, di aderire alla Repubblica di Salò di Mussolini; i tantissimi cittadini semplici che in tutto il paese aiutarono in diversi modi chi si doveva nascondere o sfuggire alle squadracce nazifasciste. Il 25 Aprile del 1945, data stabilita allora dal Governo De Gasperi, rappresenta un momento fondamentale della nostra storia: la vittoria degli eserciti Anglo-Americani e della Resistenza, l’inizio di una fase nuova per costruire un’Italia libera e democratica. Un percorso iniziato e non ancora concluso. Ricordando la riflessione di Pietro Scoppola, storico e senatore della Repubblica italiana: “Il processo di liberazione non è mai compiuto, non è compiuto nelle coscienze dei singoli, non lo è nella vita sociale. La liberazione dell’uomo, di tutti gli uomini, dall’oppressione, dalla miseria, dall’ignoranza, dalla paura è un obiettivo sempre valido, sempre necessario e sempre aperto”.

Penso che a sgombrare qualsiasi retropensiero per riconoscersi in questo percorso di liberazione, ancora in atto, basti leggere alcuni passi delle lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. Moltissimi giovani, anche ragazze, fucilati per strada o nei poligoni delle caserme dai nazifascisti dopo processi farsa durati minuti. Albino Abico, 24 anni, operaio fonditore: “Mi sento calmo e muoio sereno e con l’animo tranquillo. Contento di morire per la nostra causa: il comunismo e per la nostra cara e bella Italia. Il sole risplenderà su noi ‘domani’ perché TUTTI riconosceranno che nulla di male abbiamo fatto noi…”.

Armando Amprino, 20 anni, meccanico: “Carissimi genitori, parenti e amici tutti, devo comunicarvi una brutta notizia. Io e Candido, tutt’e due, siamo stati condannati a morte. Fatevi coraggio, noi siamo innocenti. Ci hanno condannati solo perché siamo partigiani. Io sono sempre vicino a voi. Dopo tante vitacce, in montagna, dover morire così… Ma, in Paradiso, sarò vicino a mio fratello, con la nonna, e pregherò per tutti voi. Vi sarò sempre vicino, vicino a te, caro papà, vicino a te, mammina. Vado alla morte tranquillo assistito dal Cappellano delle Carceri che, a momenti, deve portarmi la Comunione. Andate poi da lui, vi dirà dove mi avranno seppellito. Pregate per me. Vi chiedo perdono, se vi ho dato dei dispiaceri. Dietro il quadro della Madonna, nella mia stanza, troverete un po’ di denaro. Prendetelo e fate dire una Messa per me. La mia roba, datela ai poveri del paese. Salutatemi il Parroco ed il Teologo, e dite loro che preghino per me. Voi fatevi coraggio. Non mettetevi in pena per me. Sono in Cielo e pregherò per voi. Termino con mandarvi tanti baci e tanti auguri di buon Natale. Io lo passerò in Cielo. Arrivederci in Paradiso”.

Franco Balbis (Francis), 32 anni, ufficiale in Servizio Permanente Effettivo: “Possa il mio grido di ‘Viva l’Italia libera’ sovrastare e smorzare il crepítio dei moschetti che mi daranno la morte; per il bene e per l’avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice!”.

Paolo Braccini (Verdi), 36 anni, docente universitario: “Gianna, figlia mia adorata,  è la prima ed ultima lettera che ti scrivo e scrivo a te per prima, in queste ultime ore, perché so che seguito a vivere in te. Sarò fucilato all’alba per un ideale, per una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno. Non piangere mai per la mia mancanza, come non ho mai pianto io: il tuo Babbo non morrà mai. Egli ti guarderà, ti proteggerà ugualmente: ti vorrà sempre tutto l’infinito bene che ti vuole ora e che ti ha sempre voluto fin da quando ti sentì vivere nelle viscere di tua Madre. So di non morire, anche perché la tua Mamma sarà per te anche il tuo Babbo”.

Irma Marchiani, 33 anni, casalinga: “… non pensarmi come una sorellina cattiva. Sono una creatura d’azione, il mio spirito ha bisogno di spaziare, ma sono tutti ideali alti e belli. Tu sai benissimo, caro fratello, certo sotto la mia espressione calma, quieta forse, si cela un’anima desiderosa di raggiungere qualche cosa, l’immobilità non è fatta per me, se i lunghi anni trascorsi mi immobilizzarono il fisico, ma la volontà non si è mai assopita. Dio ha voluto che fossi più che mai pronta oggi. Pensami, caro Piero, e benedicimi. Ora vi so tutti in pericolo e del resto è un po’ dappertutto. Dunque ti saluto e ti bacio tanto tanto e ti abbraccio forte. Tua sorella  Paggetto…. Mia adorata Pally, sono gli ultimi istanti della mia vita, saluta e bacia tutti quelli che mi ricorderanno. Credimi non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome. Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora sono qui… fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse”.

Lorenzo Viale, 27 anni, ingegnere alla FIAT di Torino: “… Una cosa sola ci sia di conforto: che ho agito sempre onestamente secondo i santi principi che mi avete inculcato sin da bambino, che ho combattuto lealmente per un ideale che ritengo sarà sempre per voi motivo di orgoglio, la grandezza d’Italia, la mia Patria: che non ho mai ucciso, né fatto uccidere alcuno: che le mie mani sono nette di sangue, di furti e di rapine. Per un ideale ho lottato e per un ideale muoio. Perdonate se ho anteposto la Patria a voi, ma sono certo che saprete sopportare con coraggio e con fierezza questo colpo assai duro”.

In tutti lo sguardo è verso il futuro, pensano e sono certi che l’Italia presto sarà libera e democratica, che il loro sacrificio non sarà stato vano. Ed è questa l’eredità che sta dietro alla ricorrenza della Festa di Liberazione del 25 Aprile. Come ben sottolinea lo storico Paolo Pombeni: “… Con l’avvertenza che la storia trasmette eredità , ma non nomina degli eredi e men che meno degli esecutori testamentari. Quelli che vogliono attribuirsi quelle qualifiche sono o degli illusi o dei truffatori, perché l’eredità è destinata a tutti coloro che sapranno metterla a fruttificare e che non è possibile individuare a priori, perché la storia è sempre in movimento”.
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