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25 aprile nel luogo simbolo di Castel del Rio, dove “non c’è bisogno di sobrietà, lo siamo sempre stati”


CASTEL DEL RIO (Bologna) – Liberato il 27 settembre del 1944, Castel del Rio dovette aspettare ancora tanto per gioire il 25 aprile. Nel frattempo ancora guerra. Da queste parti quindi, sull’Appennino bolognese, il 25 aprile, oggi come allora è un giorno di quelli carichi di storia e di memoria: è qui che poche settimane fa si è spenta Virginia Manaresi, la partigiana “Gina” ormai centenaria, una storia enorme la sua: fu anche deportata nel carcere di Bolzano da dove riuscì a fuggire tornando a Imola. Una testimone instancabile: impossibile non ricordarla oggi nel piccolo giardino dell’Anpi, strwtto tra la statale, la casa parrocchiale e ol giardino a “Berlinguer statista”, nella più che sobria cerimonia attorniata da un paese oggi pieno di fiori per l’occasione.

PERCHÈ CASTEL DEL RIO È PIÙ CHE UN SIMBOLO

La richiama alla memoria Anna Pariani, già esponente politica e oggi col fazzoletto rossoverde dell’Anpi al collo nel prendere parola proprio a Castel del Rio, proprio il 25 aprile, in un luogo che è più che simbolico, che è un racconto costante: qui si formò una brigata partigiana che fu molto attiva, qui vicino si combattè ai Casoni una cruenta battaglia partigiana, qui ci furono “deportati che non tornarono” e catture sfociate in torture dei nazifascisti nelle carceri di Imola e Bologna, qui non manca il ricordo doloroso di una strage; qui “non c’è casa, non c’è madre o padre, nonno o nonna, che non sia stato coinvolto da una parte e dall’altra” nel lungo periodo della Liberazione al 25 aprile e oltre, come dice Pariani. Qui sono venuti a vivere inglesi i cui padri combatterono lungo la linea Gotica (la rocca di Castel del Rio ospita un museo dedicato a queste zone e alla guerra, con tanto di cannone e aeroplano all’ingresso; rocca che per l’occasione oggi si riempie dei profumi delle lasagne dell’Anpi) . Qui oggi la banda suona l’aria di “Bella ciao” davanti al giardinetto dell’Anpi.

“I NUOVI FASCISMI NON HANNO LA CAMICIA NERA”

Parla il sindaco Alberto Baldazzi sotto un cielo di nuvole cariche e vento che però concede clemenza e si limita a poche gocce , poco più che lacrime. Tra uno sprazzo di sole che rinfranca e ripaga e l’altro oggi “è un onore poter celebrare e un orgoglio poter continuare a ricordare solennemente questa giornata”, esordisce Pariani ma “non abbiamo bisogno di sobrietà, questa giornata è sempre stata sobria”, annota in un discorso che vedrà rarissimi accenti critici o polemici (contro il Rearm Ue “illegittimo e sbagliato”; contro i “nuovi fascismi che non si presentano con il mitra o la camicia nera ma con il bavaglio alla stampa, l’oscuramento dei social” e il “potere economico che sovrasta Parlamenti e Istituzioni”). Quel che serve semmai è “continuare il fondamentale racconto della Liberazione”. E legarlo all’oggi, anche al cordoglio per la morte di Papa Francesco, lui così “vicino nella battaglia per la pace e le battaglie sociali come lo furono i partigiani” , quelli che hanno permesso all’oggi “pace e libertà”, quelli che partendo da “ideali diversi seppero unirsi” e gettare le basi di “democrazia e libertà” dopo aver deposto le armi e essersi messi al lavoro pensando al “futuro”. Un pezzo di oggi è dunque nato anche da queste parti e per questo “da questo luogo rinnoviamo la memoria che non e solo un ricordo commosso” di una stagione di lotta; ricordo “limpido che non va contaminato da mistificazioni” e che serve all’oggi a “continuare a costruire libertà, verità e democrazia”, scandisce Pariani. “La memoria è bussola per costruire il futuro” e “non c’è futuro senza pace”.

IL REFERENDUM? “VOTARE E SCEGLIERE COME FECERO I PARTIGIANI”

L’ultimo pensiero è per la prossima “svolta” è un appello che cuce il 25 aprile al 2 giugno e ai referendum dell’8 e 9. “Non attenetevi dal voto. Ogni voto è utile e ogni volta che non si va a votare qualcuno dice ‘vedete che non serve?”. Votare e scegliere “come fecero i partigiani e ogni volta che si fa un passo indietro sul voto, si fa un passo indietro su libertà e democrazia” conclude Pariani. Fine. Bandiere tricolori ammainate. Strette di mano. Altra marcetta della banda. E lasagne a condire la storia dell’inglese che ora vive qui e ricorda il padre partito per la guerra, finito in Africa, quindi in Sicilia, poi a combattere tra i castagni di questi boschi, innamorandosi a Rimini tanto da dover “spiegare al padre della fidanzata inglese che non tornava…”.
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