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Papa Francesco e quella visita in moschea nella Repubblica centrafricana: così volle unire Bangui


ROMA – “Arrivò nello stadio Barthelemy Boganda dopo aver incontrato i rappresentanti della comunità musulmana nella moschea di Koudoukou, al Point Kilométrique 5, nel cuore di un quartiere al quale non ci si poteva avvicinare da più di un anno; lui ci andò a bordo di un pick-up, senza alcuna protezione: sfidò i protocolli di sicurezza delle Nazioni Unite e di tutti quei Paesi che quella visita l’avevano sconsigliata”. Monsignor Aurelio Gazzera, missionario e vescovo coadiutore di Bangassou, da 34 anni in Repubblica Centrafricana, condivide con l’agenzia Dire un ricordo di papa Francesco.È il novembre 2015 e Jorge Mario Bergoglio sceglie di recarsi a Bangui, capitale divisa di un Paese diviso, con scontri tra gruppi armati e aree off-limits nelle quali il conflitto sociale si ammanta di motivazioni religiose: da una parte la Séléka, una coalizione di milizie perlopiù musulmane, dall’altra i combattenti Anti-Balaka, in maggioranza cristiani. Alle 17.15, il 29 novembre, che Francesco proclama Bangui “capitale spirituale del mondo”, decidendo di aprire nella cattedrale di Notre-Dame la porta santa del Giubileo della misericordia.

Eppure è un tempo difficile, pieno di timori, ricorda padre Gazzera, carmelitano scalzo, originario di Cuneo: “Mi trovavo allora a Bozoum, nel nord del Paese, e fino a pochi mesi prima percorrere i 400 chilometri per raggiungere la capitale sarebbe stato semplicemente impossibile a causa degli agguati dei ribelli, che fermavano e assaltavano le automobili, i camion e i convogli”. Tra i parrocchiani fino alla fine non si era voluto credere che il viaggio pastorale potesse avvenire per davvero. “Il viaggio invece ci fu” sottolinea monsignor Gazzera: “Per la Repubblica centrafricana il papa è stato molto importante perché il suo arrivo coincise con uno dei molteplici conflitti che continuavano a colpire il Paese e dai quali non si riusciva ad uscire”.

Il papa visita dunque il quartiere musulmano. Nella moschea di Koudoukou Francesco si raccoglie in meditazione davanti alla nicchia del mihrab, rivolto in direzione della Mecca. “I cristiani e i musulmani, i membri delle religioni tradizionali, hanno vissuto in modo pacifico insieme durante molti anni” sottolinea il papa. Gli imam gli donano una tavoletta con un verso del Corano: “Se tu trovi certe persone più disponibili ad amare, sono quelli che si dicono cristiani”.

La tappa successiva è lo stadio Boganda. “Eravamo lì all’interno, lui era stato prima in un campo per persone rifugiate e poi nella moschea” ricorda monsignor Gazzera. “A un certo punto cominciammo a sentire delle urla e pensammo che fosse giunto Francesco; in realtà era l’imam Oumar Kobine Layama, che insieme con l’arcivescovo di Bangui, il cardinale Dieudonné Nzapalainga e con il presidente degli evangelici, il pastore Nicolas Guerekoyame Gbangou, aveva dato vita alla Piattaforma per la riconciliazione del Centrafrica”. Il rappresentante della comunità musulmana entra nello stadio da solo, a piedi. “La gente cominciò a esultare e fu allora che ci rendemmo conto che qualcosa era davvero cambiato” dice monsignor Gazzera. “Ci fu una messa molto africana, molto bella e poi dopo cominciarono i caroselli delle automobili e delle moto, con i clacson e la festa”.
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