ROMA – Una prigione che ospitava migranti africani si è trasformata in un mattatoio: secondo i ribelli Houthi, un raid aereo americano ha ucciso almeno 68 persone nel governatorato di Saada, loro storica roccaforte. Le autorità USA, interpellate, tacciono.
L’attacco – se confermato – sarebbe l’ultimo tragico capitolo di una guerra che da dieci anni strazia il paese più povero della penisola arabica. Le vittime, in gran parte etiopi, cercavano solo un varco verso l’Arabia Saudita. Il Comando Centrale americano (CENTCOM), in una nota emessa prima della diffusione della notizia, ha ribadito la scelta di mantenere il massimo riserbo sulle proprie operazioni, citando motivi di sicurezza. Nulla però sulle accuse degli Houthi, né commenti sulle immagini strazianti trasmesse dall’emittente al-Masirah: cadaveri, macerie, medici disperati.I ribelli, che sostengono di trattenere 115 migranti nella struttura colpita, parlano di 68 morti e 47 feriti. Numeri ancora impossibili da verificare in modo indipendente, ma che ricordano da vicino la strage del 2022, quando un attacco della coalizione saudita distrusse lo stesso complesso, causando 66 morti. All’epoca le Nazioni Unite furono chiare: quello era un centro di detenzione, non una base militare.Intanto, i raid americani sulla capitale Sana’a avrebbero provocato nella notte altri otto morti. Washington ammette di aver lanciato oltre 800 attacchi in un mese nell’ambito dell’Operazione Rough Rider, una campagna tanto segreta quanto sanguinosa, nata per colpire i ribelli che minacciano le rotte mercantili del Mar Rosso e Israele. E intanto negozia, sottobanco, con l’Iran, grande sponsor degli Houthi.
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