NAPOLI – Un taglio salariale che arriva fino a 900 euro lordi mensili. Accade a Napoli, ai medici universitari dell’azienda Federico II, che da un giorno all’altro si sono visti decurtare sensibilmente lo stipendio. In 335 hanno firmato una lettera aperta per segnalare il caso e, a seguito della loro denuncia, hanno incontrato nella giornata di ieri esponenti della Regione Campania, che si sono impegnati a risolvere la situazione in breve tempo. Sul caso, intanto, è intervenuto oggi anche il presidente dell’Ordine dei medici di Napoli Bruno Zuccarelli, che ha lanciato l’allarme: “Questi tagli potrebbero provocare un’ulteriore emorragia di medici”.
Come è stato possibile? Tutto nasce, come ha potuto ricostruire l’agenzia Dire, nel 2024, quando Regione Campania e Università degli studi di Napoli Federico II hanno siglato un protocollo d’intesa – stipulato anche con la Vanvitelli e l’Università di Salerno – che, tra l’altro, ha ridefinito le condizioni economiche del contratto di ricercatori e professori. Figure professionali che ricevono un doppio cedolino, uno dall’Università, per la didattica, la formazione, la ricerca, un altro dall’Azienda ospedaliera, per l’assistenza, cioè l’attività medica, quella svolta a contatto con il paziente. Un totale di 38 ore settimanali, 26 delle quali per l’assistenza. La prima quota stipendiale è rimasta invariata, mentre la seconda è cambiata dopo il protocollo d’intesa del 2024, che ha rinnovato il precedente del 2017. Il risultato è stato un taglio in busta paga, con l’effetto di una radicale modifica al ribasso della retribuzione aziendale relativa all’attività assistenziale.
A farne le spese sono stati soprattutto i giovani ricercatori, che hanno dovuto subire una decurtazione di circa 700-900 euro lordi al mese, circa 500 netti al mese. Per l’attività assistenziale un giovane ricercatore oggi guadagna 250-300 euro netti per 104 ore di lavoro. Circa 2,50 euro l’ora. Applicando le disposizioni del protocollo d’intesa, si è inoltre creato anche un ulteriore paradosso, con un incremento mensile fino a mille euro lordi per le figure apicali.
Tutto è sintetizzato nella lettera aperta di 335 docenti, tra ricercatori, professori associati e ordinari, della Scuola di Medicina e Chirurgia della Federico II, che lamentano “la violazione del principio di irriducibilità della retribuzione, sancito dal Codice civile, la mancata applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro dell’area sanità”, evidenziando che “il soggettivismo giuridico” del protocollo d’intesa “ha oltrepassato il limite della dignità e della professionalità medica”.
I medici universitari annunciano: “Ci avvarremo di tutte le risorse legali e sindacali per far riconoscere i nostri diritti nelle sedi opportune”, denunciando: “Il taglio degli stipendi, avvenuto in meno di 24 ore, è stato tenuto all’oscuro per quasi un anno”. Oggi, intanto, ci tengono ad esprimere “preoccupazione” perché “questa nuova mortificazione avrà necessariamente delle conseguenze per il futuro dell’Università. Nel momento in cui il trattamento economico dei medici universitari diviene inferiore a quello dei medici del servizio sanitario nazionale, che a loro volta sono sottopagati rispetto a molti altri paesi europei, sempre meno giovani medici intraprenderanno la carriera accademica, svuotando di fatto le cattedre di domani e alimentando la fuga già in corso verso la sanità privata”. Infatti, la nuova disciplina comporta che un ricercatore neo assunto alla Federico II si trova a guadagnare fino a 900 euro lordi in meno rispetto a un medico ospedaliero, che magari ha un’anzianità inferiore.
“Come ulteriore corollario – si legge nella lettera aperta – il capitale umano a disposizione dell’Università non potrà che diminuire, favorendo la mobilità interna verso altre regioni italiane, fenomeno che colpisce soprattutto il Mezzogiorno, e quella esterna verso altri Paesi fuori dall’Italia”.
Tesi che spaventa anche l’Ordine dei medici: “Siamo molto preoccupati per i tagli che hanno colpito i ricercatori della Federico II, decurtazioni – sostiene Zuccarelli – che potrebbero provocare un’ulteriore emorragia di medici, spingendoli ad abbandonare il settore pubblico e impoverendo così ricerca e assistenza nell’ambito dell’Azienda ospedaliera universitaria. Sappiamo che la Regione si sta muovendo per cercare una soluzione a questo problema e auspico che si riesca a risolvere tutto nel più breve tempo possibile. L’Italia è uno dei Paesi che investe meno in ricerca, e questi ulteriori tagli rischiano di aggravare una situazione già drammatica”.
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