ROMA – Intorno alle 00:23 del mattino, droni armati hanno colpito la nave Conscience dell’organizzazione non governativa Freedom Flotilla Coalition mentre navigava, carica di aiuti umanitari, in prossimità della Striscia di Gaza per “rompere l’assedio israeliano all’ingresso di beni di prima necessità”. L’organizzazione ha accusato dell’aggressione le forze di Israele.
Il natante, come ha confermato anche il governo di Malta e così come riporta France24, al momento del raid si trovava in acque internazionali, a 14 miglia nautiche dalle coste di Malta. Sempre secondo l’emittente francese, il governo israeliano non ha commentato l’accaduto. L’incendio è stato domato dopo le 2 del mattino e tutti i membri dell’equipaggio e i volontari sono salvi.
Sulla nave, come scrive la Freedom Flotilla in una nota, ci sono “23 attivisti internazionali provenienti da 21 Paesi”, impegnati “in una missione per sfidare l’assedio illegale e mortale di Gaza da parte di Israele e per fornire aiuti salvavita disperatamente necessari”. L’ong aggiunge che “Alle 00:23 ora maltese la Conscience (…) è stata attaccata direttamente in acque internazionali (…) due volte”. Raggiunta “la parte anteriore dell’imbarcazione civile disarmata, provocando un incendio e una profonda breccia nello scafo.
Gli ambasciatori israeliani- l’appello lanciato dalla Freedom Flotilla- devono essere convocati e rispondere delle violazioni del diritto internazionale, tra cui il blocco in corso e il bombardamento della nostra nave civile in acque internazionali”. L’ong aggiunge che nel doppio raid, l’obiettivo dei droni era il generatore centrale dell’imbarcazione per causare un blackout elettrico e mettere il natante a “rischio di affondamento”.
Il Times of Malta riferisce che l’incendio è stato spento nelle prime ore del mattino e che le autorità maltesi hanno inviato una motovedetta dell’esercito maltese a supporto delle operazioni. Il governo de La Valletta stamani ai media locali ha aggiunto che tutte le persone a bordo si sono rifiutate di trasferirsi sul rimorchiatore inviato dalla Guardia costiera insieme ai mezzi di soccorso.
La Freedom Flotilla è una piattaforma internazionale che si batte contro l’assedio di Israele alla Striscia di Gaza, scattato nel 2006. In una missione analoga del 2010, Israele attaccò la nave Mavi Marmara, uccidendo 10 persone e ferendone 28. La Conscience ora punta a fornire aiuti salvavita alla popolazione di Gaza, che soffre il blocco totale all’ingresso di aiuti e di operatori umanitari internazionali da ormai due mesi. Come scrive stamani in una nota Amnesty International, “dal 2 marzo non entra più niente, da quando Israele ha nuovamente imposto il blocco all’ingresso di aiuti e prodotti indispensabili per tenere in vita la popolazione palestinese della Striscia di Gaza. È l’uso della fame come arma di guerra”.
Per Amnesty International, “questa punizione collettiva costituisce un ulteriore esempio dell’intenzione genocida israeliana di imporre condizioni di vita atte a causare la distruzione fisica dei civili palestinesi”.Amnesty riporta anche delle testimonianze da Gaza: “Non ci chiediamo se il cibo sia nutriente o meno, se sia fresco o no. Mettere qualcosa nello stomaco dei nostri figli è già un lusso. Non voglio che muoiano”, testimonia un padre di famiglia. Un pescatore aggiunge: “Quando prendo la barca, so che il rischio di non tornare a casa dalla mia famiglia è elevato, ma non ho scelta. La nostra sopravvivenza dipende da quanto riesco a guadagnare vendendo ciò che pesco”. Oltre al cibo, mancano anche “acqua, gas e legname”, risorse che hanno “raggiunto costi esorbitanti”. Una donna ha aggiunto: “Coi bombardamenti incessanti in corso, non sai mai come andrà a finire. Puoi mandare tuo figlio a prendere l’acqua e può tornarti indietro dentro un sacco per cadaveri”.
Amnesty denuncia inoltre che “dell’estrema scarsità di cibo c’è chi approfitta per accumulare o rubare le poche scorte rimaste così come chi impone commissioni fino al 30% per fornire contanti. Hamas- scrive ancora l’organizzazione- non ha preso alcun provvedimento contro questi sfruttatori e speculatori e ciò ha spinto molte persone, soprattutto a Beit Lahia, a scendere in strada per protestare e chiedere la fine della sua amministrazione”.
Il 18 marzo scorso Israele ha posto fine al cessate il fuoco con Hamas e negli attacchi contro Gaza ha provocato 2.325 morti, tra cui 820 bambine e bambini. Il 17 aprile, a circa un mese e mezzo dall’assedio, sull’onda di pressioni internazionali, il ministro della Difesa Israel Katz è intervenuto per ribadire che “La politica di Israele è chiara e nessun aiuto umanitario entrerà a Gaza”, motivando questa linea con l’intenzione di fare “pressioni su Hamas attraverso la popolazione” palestinese. Gli Stati Uniti, principale alleato di Israele, sostengono questa politica.
Dopo il nuovo blocco scattato il 2 marzo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ufficialmente chiesto alla Corte internazionale di Giustizia (Icj) di esprimere un parere consultivo sulla condotta di Israele e oggi termina la settimana di audizioni. Gli avvocati del governo del Regno Unito hanno affermato che Israele, in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di “agevolare la fornitura di aiuti umanitari completi, rapidi, sicuri e senza ostacoli alla popolazione di Gaza, compresi cibo, acqua ed elettricità, e deve garantire l’accesso all’assistenza medica in conformità con il diritto internazionale umanitario”. Londra inoltre esorta Tel Aviv a consentire l’accesso alla Croce Rossa internazionale e all’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, che Israele ha messo al bando accusandola di presunta complicità con il movimento Hamas. “Il Regno Unito- hanno aggiunto i legali- ritiene che l’Unrwa sia un’organizzazione umanitaria imparziale ai sensi dell’articolo 59 della quarta Convenzione di Ginevra”.
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