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“In Italia, una mamma su 5 smette di lavorare”: ecco cosa è la child penalty


ROMA – In Italia, il 2024 ha registrato un nuovo record negativo delle nascite con soli 370.000 nuovi nati, una flessione del 2,6% rispetto all’anno precedente. L’età media delle madri al parto ha raggiunto i 32,6 anni, parallelamente il tasso di fecondità totale ha subìto un’ulteriore contrazione, attestandosi a 1,18 figli per donna, inferiore anche al minimo storico dell’1,19 registrato nel 1995. Il Sud e le Isole hanno registrato i cali più significativi di nuove nascite, rispettivamente del 4,2% e del 4,9%. In questo panorama di crisi demografica, le mamme single sono quelle che si trovano spesso ad affrontare ulteriori difficoltà in termini di supporto sociale e stabilità economica. È quanto si legge in una nota di Save The Children.Questi e molti altri i dati contenuti del rapporto ‘Le Equilibriste, la maternità in Italia’ di Save the Children – l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro – arrivato alla sua 10ma edizione e diffuso oggi a pochi giorni dalla festa della Mamma, che traccia un bilancio sugli infiniti equilibrismi che le donne in Italia sono costrette a compiere quando scelgono di diventare mamme, spiega la nota.

PIÙ FACILE VIVERE A BOLZANO SE SI È MAMMA, DIFFICILE IN BASILICATA

Come ogni anno, lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’Istat per Save the Children, una classifica delle Regioni italiane dove per le mamme è più facile o difficile vivere, continua la nota. Anche quest’anno, l’Indice riporta la Provincia Autonoma di Bolzano in cima ai territori amici delle madri, seguita da Emilia-Romagna e Toscana, mentre fanalino di coda, come nella scorsa edizione, risulta la Basilicata, preceduta in fondo alla classifica da Campania, Puglia e Calabria.

IL LAVORO E LA CHILD PENALTY

L’Italia occupa il 96esimo posto su 146 Paesi nel mondo in relazione alla partecipazione femminile al mondo del lavoro, mentre rispetto al gender gap retributivo si trova alla 95esima posizione. Inoltre, più di una donna su quattro (26,6%) nel nostro Paese è a rischio di lavoro a basso reddito, mentre la stessa condizione interessa un uomo su sei (il 16,8%), prosegue la nota. I dati sul divario salariale a sfavore delle donne preludono a una penalità ancora più netta quando queste decidono di mettere al mondo un figlio: la child penalty.

IL 20% DELLE DONNE SMETTE DI LAVORARE DOPO LA MATERNITÀ

Il 77,8% degli uomini senza figli è occupato, ma la percentuale sale al 91,5% tra i padri (92,1% per chi ha un figlio minore e 91,8% per chi ne ha due o più), mentre per le donne la situazione è molto diversa: lavora il 68,9% tra quelle senza figli, ma la quota scende al 62,3% tra le madri (65,6% per chi ha un figlio minore e 60,1% con due o più), aggiunge la nota. Dai dati si evince che mentre gli uomini con figli sono più presenti nel mercato del lavoro degli uomini senza figli, per le donne avere figli è associato a una minore occupazione lavorativa.Il 20% delle donne, infatti, smette di lavorare dopo essere diventata madre, spesso a causa dell’assenza di servizi per la prima infanzia e della mancanza di condivisione dei compiti di cura all’interno delle famiglie, che rendono inconciliabile la dimensione lavorativa e quella familiare, evidenzia la nota. Secondo alcune stime preliminari, inoltre, questa percentuale salirebbe di ulteriori 15 punti, raggiungendo il 35%, tra le madri di figli con disabilità.

LE DISPARITÀ NORD-SUD

I dati del Rapporto, elaborato dal Polo Ricerche di Save the Children, oltre allo squilibrio di genere evidenziano forti disparità territoriali e sociali. Al Nord, il tasso di occupazione maschile è dell’87% per gli uomini senza figli e 96,3% per quelli con almeno un figlio minore, mentre per le donne si attesta all’80,2% per le donne senza figli, e al 74,2% per quelle con almeno un figlio minore, si legge ancora nella nota. Anche nelle regioni del Centro emerge uno svantaggio femminile con una differenza di circa 5 punti percentuali nei tassi di occupazione tra le donne senza figli (74,3%) e quelle con figli minori (69,2%).Nel Mezzogiorno, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è molto più bassa e presenta comunque una differenza tra le donne senza figli (49,4%) e quelle con almeno un figlio minore (44,3%), in linea con quelle del Centro e del Nord.

LE DIMISSIONI VOLONTARIE, “ROBA” DA NEOMAMME

Anche i dati sulle dimissioni volontarie relativi ai genitori con figli 0-3 anni restituiscono un’istantanea sulla disparità di genere nel mondo del lavoro: a dimettersi, infatti, sono principalmente le madri, al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita, prosegue ancora la nota. Il 72,8% di tutte le 61.391 convalide da parte di neogenitori di bambini tra 0 e 3 anni è riferito a donne e nel 96,8% dei casi si tratta di dimissioni volontarie. Le motivazioni più frequentemente indicate riguardano la difficoltà di conciliazione della vita familiare con quella lavorativa per ragioni legate ai servizi, all’organizzazione del lavoro o a scelte del datore di lavoro.

LA CHILD PENALITY SI RIDUCE CON PIÙ INVESTIMENTI NEGLI ASILO NIDO

Il Rapporto Le Equilibriste contiene quest’anno una stima a cura del Think- Tank Tortuga su quanto una riduzione dei costi dell’assistenza a carico delle famiglie, attraverso gli investimenti in asili nido, potrebbe ridurre la child penalty in modo sostanziale, promuovendo una maggiore equità di genere nel mercato del lavoro italiano, continua ancora la nota. In Italia, la genitorialità è responsabile del 60% della differenza nel tasso di occupazione tra uomini e donne, con le madri che spesso ricoprono ruoli di cura all’interno della famiglia a scapito della carriera. In Italia, dopo la nascita di un figlio, la child penalty iniziale è pari al 33%. Con una riduzione dei costi a carico delle famiglie per i servizi per l’infanzia del 30% si registra una child penalty tra il 28,5% (stima conservativa) e il 27,6% (stima ottimista). Nello scenario più ambizioso (-90% dal costo attuale), si ridurrebbe fino al 19,5-16,8%.

PIÙ SERVIZI, MENO PART-TIME

Una maggiore estensione dei servizi di cura favorirebbe anche una partecipazione più completa al mercato del lavoro delle mamme: nel 2024 la quota di donne 25-54enni occupate a tempo pieno scende drasticamente dal 77,8 % tra le donne senza figli al 64,4 % tra le madri con almeno un figlio minore, conclude la nota. Specularmente, il part-time aumenta in modo marcato, passando dal 22,2% tra le donne senza figli al 35,6 % tra le madri con almeno un figlio minore.

CHE FARE? GARANTIRE A TUTTI, IN TUTTI I TERRITORI L’ACCESSO AI SERVIZI PER L’INFANZIA E PIÙ CONGEDI AI PAPÀ

“Ancora oggi, le diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro ma non solo, lo sbilanciamento dei carichi di cura a sfavore delle donne, l’insufficienza o l’assenza completa di servizi per la prima infanzia condizionano la vita e il benessere delle madri. Servono politiche strutturali, integrate e durature che garantiscano risorse e strumenti per sostenere le famiglie nella cura dei figli e nella conciliazione tra vita privata e professionale. È fondamentale, ad esempio, garantire a tutti i bambini e le bambine l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia, ampliando l’offerta in tutti i territori e assicurandone la sostenibilità nel lungo periodo, ed estendere la durata dei congedi di paternità, incentivandone l’utilizzo e riconoscendo il valore sociale della cura anche per i padri, in una logica di corresponsabilità. Solo così potremo costruire un futuro in cui la genitorialità, il lavoro e la vita privata non siano in conflitto, ma possano coesistere come parte di un progetto di benessere individuale e collettivo”, ha affermato Giorgia D’Errico, direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children.
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