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La speranza dell’Africa: il papa congolese “che erediti la spiritualità di Francesco”


ROMA – “In Congo tanti ragazzi denunciano che non possono più studiare perché è troppo pericoloso andare a scuola o all’università. Raccontano che i loro coetanei vengono rapiti e costretti a prendere le armi, che le loro madri vengono violentate. Io mi auguro che il prossimo papa erediti la spiritualità di Francesco, che ha voluto consolare le popolazioni africane, chiedendo alle multinazionali di permettere all’Africa di vivere, di decollare. Spero anche un po’ in un papa congolese”.

Con l’agenzia Dire parla padre Jean-Marie Rubakare, salesiano, già elemosiniere dei giovani presso la Conferenza episcopale della Repubblica democratica del Congo (Cenco), oggi insegnante presso l’Istituto tecnico professionale di Kalemie per ragazzi dai 12 ai 18 anni. 

Per Rubakare, papa Francesco, “un pontefice che ha lasciato tanto all’Africa- inizia il sacerdote-, un capo spirituale che non viene pianto solo dai cattolici ma dalla Chiesa universale”, ossia quella dei credenti in Cristo a prescindere dalle varie correnti.

Kalemie, città di cui parla padre Rubakare, è nell’est della Repubblica democratica del Congo, nazione scossa da anni dall’offensiva dei ribelli del Movimento 23 marzo, che hanno preso alcune settimane fa anche la città di Bukavu, capoluogo del Sud Kivu. Kalemie si trova 500 chilometri più a sud, sul lago Tanganika, che dà il nome anche alla provincia. “Qui la situazione è calma”, racconta il salesiano, “i ribelli non sono ancora arrivati”.

Ma a Bukavu e, più a nord, a Goma, capoluogo del Nord Kivu, dove il sacerdote ha la famiglia, centinaia di persone sono morte negli scontri tra esercito e ribelli. “Quando parlo con parenti e amici al telefono, e mi raccontano di saccheggi, stupri, uccisioni”, dice don Rubakare, “mi domando cosa abbia fatto di male questa gente per meritare tanto dolore”.

Quest’area del Congo, che confina con Uganda, Ruanda e Burundi, è ricchissima di risorse come acqua e legname, a cui si aggiungono miniere di oro, cobalto, rame e diamanti. Per questo da anni è bersaglio di violenze per l’accaparramento delle risorse.

“Nei suoi numerosi viaggi apostolici in Africa”, prosegue padre Rubakare, “Francesco si è presentato come mediatore tra gli uomini. Ha iniziato nel 2015, col giubileo della misericordia in Centrafrica”, quando aprì la porta santa della cattedrale di Notre-Dame di Bangui, in un Paese scosso dalle violenze tra gruppi armati. “Mettendo insieme leader cristiani e musulmani- continua il salesiano- ha voluto dimostrare che non era come gli altri capi di Stato. Ha voluto dire: ‘basta violenze: siamo tutti fratelli e apparteniamo alla stessa casa, di cui dobbiamo avere cura’, come ha ricordato poi nell’enciclica ecologista ‘Laudati sii'”.E poi quel gesto di umiltà nel 2019, quando baciò i piedi al presidente Salva Kiir e al vicepresidente Riek Machar, a capo di due coalizioni armate all’origine della guerra civile in Sud Sudan, per chiedere la pace: “Era genuinamente preoccupato della pace”.

“Ai vescovi”, continua il sacerdote, “ha chiesto di imitarlo, ascoltando le miserie della gente, di stargli vicino. La sua frase più importante per me è: ‘Il pastore deve avere l’odore delle sue pecore’. E poi ha voluto essere un riconciliatore”.

Padre Rubakare ricorda il viaggio nel 2023 in Repubblica democratica del Congo, a cui il pontefice avrebbe voluto aggiungerne un altro ma “non fu possibile. Ma sono sicuro che in cuor suo Francesco sarebbe voluto tornare per consolare la nostra popolazione”.

Per il salesiano, mentre Francesco parlava agli africani, “si rivolgeva anche alle multinazionali e i governi occidentali, come Stati Uniti e Francia, per dire basta al colonialismo, basta allo sfruttamento e al saccheggio delle risorse. papa Francesco ci ha detto chiaramente che la vita, che è sacra, non si sacrifica per le ricchezze. Ma in Congo i ragazzi non riescono più a studiare a causa della guerra”.

Nella notte tra il 22 e il 23 aprile, come riferisce Radio Okapi, una cinquantina di ragazzi di diverse età sono stati sequestrati nel villaggio di Buhama, nella regione di Nyiragongo – nel Nord Kivu – da uomini armati che li hanno caricati su dei camion e portati in una località sconosciuta. Crimini che “impediscono alle persone di muoversi, ai giovani di studiare” denuncia il sacerdote, “perché si chiudono le scuole”. Accennando all’intesa raggiunta in settimana dal governo di Kinshasa con i ribelli per lavorare insieme a un cessate il fuoco, il sacerdote commenta: “E’ una buona notizia, le armi non vincono mai. Tuttavia il dialogo deve essere sincero e puntare al benessere delle persone”.

Infine, un pensiero al prossimo conclave: “Dio sceglie tramite il soffio dello Spirito santo; mi auguro che sia eletta una figura che sappia ereditare la spiritualità della semplicità e dell’ascolto di Francesco, la sua difesa dell’umanità, dei migranti, delle vittime delle guerre”. Padre Rubakare conclude: “Non conosco molto i cardinali papabili, ma mi piacerebbe vedere un papa congolese”.
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