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Papa, l’americanista: “La scelta non è stata mediatica ma di sostanza”


ROMA – Tradizione, già nella scelta del nome, e richiamo ai temi sociali: un bilanciamento, questo di Leone XIV, primo pontefice statunitense della storia della Chiesa, che appare “segno di equilibrio” e frutto di una decisione “non mediatica ma di sostanza”. Parte da qui Gregory Alegi, autore e professore di Storia delle Americhe presso l’università Luiss Guido Carli.In un’intervista con l’agenzia Dire, la prima riflessione riguarda la provenienza geografica del nuovo papa, Robert Francis Prevost. “E’ opportuno leggere la sua elezione dal punto di vista della Chiesa e non della politica americana” la premessa. “Dobbiamo chiederci dunque perché i cardinali o se vogliamo lo Spirito santo abbiano guidato una scelta che non era nel ‘totopapa’, visto che Prevost non era in nessuna lista”.

A far riflettere, da tradizione, è il nome adottato dal neo-eletto pontefice. “Nel recente passato abbiamo visto tanti papi che hanno rotto con la tradizione, come Jorge Mario Bergoglio, che aveva voluto chiamarsi Francesco” ricorda Alegi. “Qui invece si torna a un nome classico, al Leone XIII dell’enciclica ‘Rerum Novarum’, il pontefice che inventò la dottrina sociale della Chiesa”.Secondo Alegi, l’elezione del 267esimo pontefice non va letta con occhiali politici: “Donald Trump aveva indicato come suo favorito il cardinale Timothy Dolan e potremmo dire che con il presidente il nuovo papa è agli antipodi anche per la sensibilità sociale, ma guarderei invece all’elezione dal punto di vista della Chiesa”.E allora, che significati possibili? “I cardinali statunitensi in conclave erano dieci e hanno quindi avuto la capacità di tessere legami e costruire ponti affinché gli altri porporati convergessero sul nome di Prevost” evidenzia Alegi. “Dovremmo ragionare sul ruolo e sul peso della Chiesa statunitense nella Chiesa globale”.

Non solo. “Scegliere un cardinale più conosciuto all’interno della Chiesa americana che non al grande pubblico”, secondo il professore, “appare un fattore di equilibrio, non una scelta mediatica ma di sostanza, e questo è un buon segno”. Si parla anche di coraggio. “La Chiesa cattolica degli Stati Uniti è stata coinvolta in diversi scandali di abusi sessuali ed è divenuta in qualche modo un bersaglio facile” la tesi di Alegi: “Scegliere un pontefice americano che non ha scheletri nell’armadio significa esporsi a quel clima, guardando però alla sostanza delle cose”.Un ultimo spunto, sulla possibile azione di governo. “Mi aspetto che una guida americana intervenga, anche se non subito e non in modo non violento, non alla Trump insomma, per ammodernare la funzione e le finanze vaticane” sottolinea il professore. “Non prevedo nessuna crociata ma l’attenzione ai risultati”.
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