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Blackout iberico, una lezione da cui imparare


ROMA – Intorno alle 12.30 dello scorso 28 aprile in Spagna e Portogallo si è registrato il più grave blackout energetico e delle telecomunicazioni della recente storia europea. Oltre 50 milioni di persone sono rimaste al buio e senza connessione internet fino a un massimo di 36 ore. Un fenomeno che, in epoca di attacchi cibernetici, competizione per le risorse e vulnerabilità dei mercati, ha riacceso il dibattito sulla sicurezza energetica e il giusto impiego delle rinnovabili che, se da un lato si stanno affermando rapidamente, dall’altro richiedono investimenti specifici per rendere l’infrastruttura sostenibile.

EFFETTI DEL BLACKOUT IBERICO SONO COSTATI PERDITE PER 1,6 MILIARDI

D’altronde, gli effetti del blackout iberico sono costati perdite per 1,6 miliardi di euro, pari allo 0,1% del Pil spagnolo. Ripercussioni hanno raggiunto anche la Francia, nella regione dei Pirenei, mentre in Portogallo non si sono ancora esaurite: dopo la decisione di Lisbona di sospendere le importazioni di corrente dalla Spagna, il prezzo dell’elettricità è quadruplicato, passando ai 43,94 euro per MWh rispetto ai 10,89 che si pagano in Spagna. Una differenza record, da quando nel 2007 è nato il Mercato Iberico dell’Energia Elettrica (Mibel). Il governo è corso ai ripari assicurando che il riallaccio alla rete spagnola avverrà “in tempi brevi” e annunciando, insieme al governo spagnolo – e alle autorità europee per l’energia Entso e Acer – l’apertura di indagini per chiarire le cause esatte del blackout. All’origine dell’incidente, ci sarebbe stata una combinazione di fattori. Si è parlato di “errore umano”, di eventi atmosferici estremi e perfino di un attacco informatico. Alcuni hanno anche puntato il dito contro la tendenza, sempre più marcata in Spagna, di produrre energia attraverso impianti fotovoltaici ed eolici, gettando un’ombra sull’efficienza delle rinnovabili e della transizione verde.

IN SPAGNA QUASI IL 60% DELL’ENERGIA PROVIENE DA FONTI RINNOVABILI

La Spagna non è un Paese membro del G7 ma in qualche modo sta attuando la politica di questi Paesi che, all’indomani della Cop29 di Baku (prima del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, convinto sostenitore dei combustibili fossili), hanno ribadito “l’importanza di accelerare la diffusione delle energie rinnovabili” e l’impegno a “triplicare la capacità installata di energia rinnovabile entro il 2030”. In Spagna, quasi il 60% dell’energia proviene da fonti rinnovabili: si è passati dal 31% del 2011 al 57% del 2024. L’energia fotovoltaica rappresenta la prima fonte del mix energetico nazionale, che quindi non dipende più da carbone e nucleare. La transizione è una priorità per il governo del premier Pedro Sanchez, che punta anche all’obiettivo “emissioni zero” che, lo scorso 16 aprile, è stato persino raggiunto, per qualche ora, su tutta la rete. Proprio la pervasiva dipendenza dalle energie verdi è stata additata come principale causa del “buio” iberico. Superato il caos dei primi giorni, gli esperti hanno preferito però concentrarsi su gestione ed efficienza delle tecnologie di stoccaggio e di rete. A innescare il collasso del sistema produttivo spagnolo ci sarebbe stato un abbassamento repentino della produzione di energia solare. Non è chiaro cosa lo abbia determinato, tuttavia, per evitare che si ripeta, è stato suggerito di aumentare gli investimenti statali in ricerca, manutenzione e ammodernamento di reti che devono crescere di pari passo con lo sfruttamento delle rinnovabili.

LE PRESTAZIONI DELLA RETE MOBILE SONO PEGGIORATE DRASTICAMENTE

Questo non riguarda solo produzione, distribuzione e immagazzinamento di corrente ma anche telecomunicazioni. Società di analisi come Down Detector hanno dimostrato che il 28 aprile, le prestazioni della rete mobile in entrambi i Paesi della Penisola Iberica sono peggiorate drasticamente dopo l’interruzione di corrente. Assenza di rete o crollo della velocità di download – con picchi fino all’85-90% – sono stati segnalati soprattutto nelle regioni dove antenne e ripetitori non avevano accesso a batterie di backup o generatori. Le prestazioni della rete sono state gravemente compromesse anche dall’aumento del carico dovuto alla migrazione degli utenti e dall’assenza di alternative di banda larga fissa.

INFRASTRUTTURE PIÙ SOSTENIBILI, OBIETTIVO AMBIZIOSO E NECESSARIO

Rendere queste infrastrutture più sostenibili è quindi un obiettivo ambizioso quanto necessario, che richiede fondi e volontà politica; almeno in Europa, trova terreno fertile non solo nelle associazioni ambientaliste ma anche nel mondo dell’imprenditoria, come dimostra un recente sondaggio di Savanta: tra i 1.500 Ceo e dirigenti aziendali di 15 paesi intervistati, il 97% si è detto favorevole all’abbandono del carbone e di altri combustibili fossili e il 78% sostiene una transizione verso un sistema elettrico basato sulle energie rinnovabili entro il 2035 o prima. A ciò si aggiunge che il 77% collega le rinnovabili alla crescita economica, mentre il 75% le considera fondamentali per la creazione di posti di lavoro.

REALE: “LE RINNOVABILI SONO UN TEMA PRIORITARIO”

“I dati dimostrano una fiducia diffusa nella trasformazione elettrica anche nel nostro Paese” dichiara alla Dire Matteo Reale, presidente di Cna Milano e vicepresidente di Cna Lombardia. “Le rinnovabili sono un tema prioritario- continua l’esperto- perché le imprese italiane sostengono un costo dell’energia superiore anche fino a tre volte maggiore rispetto a quelle europee, mentre le incertezze politiche ed energetiche degli ultimi anni hanno fatto lievitare i costi”. Da qui, secondo Reale, l’importanza di attuare fino in fondo il Piano nazionale di transizione 5.0 che, a partire da agevolazioni fiscali, punta a rafforzare il settore energetico. Ma, come avverte il dirigente di Cna Milano, “dei 6 miliardi di euro stanziati, ne sono stati spesi solo 700 milioni. Siamo gravemente indietro e ciò causa una perdita secca sia per imprese che per qualità della trasformazione elettrica del Paese”. Eppure, avverte Reale, “per le imprese potrebbe esserci un risparmio che varia dal 3% per gli impianti al 5% per i processi produttivi”.
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