ROMA – “Questa notizia è una sciocchezza”.
Le parole dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Mike Huckabee, sembrano mettere una pieta tombale alle indiscrezioni diffuse ieri dal Jerusalem Post che, citando fonti interne ai Paesi del Golfo non meglio specificate, soteneva l’intenzione di Washington di riconoscere lo Stato di Palestina.
“Il Jerusalem Post deve usare fonti migliori di queste “fonti non identificate’. Mio figlio Teddy di 4 anni è più affidabile”, ha ironizzaro il diplomatico.
Al di là dei “rumors” su una scelta politica che quasi 150 nazioni nel mondo hanno già assunto, da giorni circolano analisi secondo cui il rapporto tra Donald Trump e il premier Benjamin Netanyahu starebbe scricchiolando.
Il principale alleato di Israele – a cui dal 7 ottobre 2023 ha fornito armi e materiale bellico per 18 miliardi di dollari – potrebbe fare marcia indietro a causa del calo nei sondaggi del sostegno dell’opinione pubblica a Israele.
Un sondaggio di Gallup di marzo scorso ha rilevato che solo il 46% degli americani non sostiene Israele (il livello più basso in 25 anni registrato da tale istituto statistico), mentre il 33% ha ora dichiarato di simpatizzare per i palestinesi, segnando il valore più alto mai registrato.
Sempre a marzo, il Pew Research Center riferisce che il 53% degli americani ha un’opinione negativa su Israele, con un aumento di 11 punti percentuali rispetto al 2022. Cifre che potrebbero avere un impatto sulla politica estera americana, come rivelerebbe il fatto che Trump, ad esempio, ha accettato un cessate il fuoco con lo Yemen – arcinemico di Tel Aviv – per le navi cargo nel Mar Rosso, permettendo al governo di Sana’a di escludere dall’intesa Israele; oppure, riguardo al fatto che lo stesso Trump martedì stia recando in Arabia saudita – e poi Qatar ed Emirati Arabi Uniti – per rilanciare “L’Accordo del secolo” coi vertici di Riad e stringere nuovi accordi energetici, senza coinvolgere gli alleati a Tel Aviv, dove non è detto che si fermerà in visita, nonostente l’invito del governo.
Intanto, ha creato malumori l’annuncio ieri da parte dei vertici americani dell’annullamento della visita dell Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth, che si sraebbe dovuto recare in Israele lunedì, alla vigilia del tour nel Golfo di Trump.
“A questo punto, è chiaro che nel Golfo Trump prenderà alcune decisioni importanti unilateralmente, senza considerare in modo significativo gli interessi israeliani, come nel caso dell’Iran o dello Yemen”, ha detto a Middle East Eye Michael Wahid Hanna, direttore del programma statunitense presso l’International Crisis Group. Potrebbe essere indicativa anche la proposta statunitense di un nuovo meccanismo per la distribuzione degli aiuti a Gaza che, se da un lato sostituisce le agenzie dell’Onu e le organizzazioni umanitarie – accogliendo le accuse di ISraele di collaborazionismo con Hamas -, dall’altro sarebbe stato imposto anche allo stato ebraico senza appello.
All’origine della frattura, ci potrebbe essere certe pressioni che l’amministrazione americana avrebbe subito per il via libera – e l’appoggio militare – a un intervento bellico contro l’Iran, prospettato da Tel Aviv per il mese di maggio. Una proposta che “non è piaciuta a Trump”, come ha riferito il Washington Post e, per questo, in occasione dell’incontro con Netanyahu allo Studio Ovale a marzo, Trump avrebbe poi avanzato la proposta di nuovi negoziati per il Programma nucleare con Teheran, che domani vedono il quarto round di incontri in Oman.
Il Capo della Casa Bianca, poi, in questi giorni ha ribadito che la sua priorità è “la liberazione degli ostaggi israeliani”; domenica scorsa, il Piano di conquista di Gaza è stato approvato dal gabinetto di guerra israeliano sebbene i vertici militari abbiano avvertito che “non dà garanzie di riportare in vita” gli ostaggi israeliani ancora tenuti da Hamas nell’enclave. Quest’ultimo, in reazione al Piano, è uscito intanto dai colloqui: “Inutili, se Tel Aviv prosegue la sua guerra di sterminio e affamamento”, ha commentato il gruppo.
Qui, dal 2 marzo non entrano né acqua né da mangiare e non si smette di contare i morti degli attacchi: 23 nelle ultime 24 ore, 13 dall’alba di oggi. Secondo le autorità sanitarie, le vittime palestinesi in 19 mesi di guerra sono 52.810, di cui un terzo bambini.
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