ROMA – “La seconda vittima – la donna scomparsa da venerdì, il cui corpo è stato ritrovato in un laghetto e che si ritiene essere stata uccisa da Emanuele De Maria il detenuto che dopo l’accoltellamento a Milano di un collega si è suicidato – poteva essere evitata”. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria che sta seguendo il caso per i risvolti diretti con il sistema carcerario: “Diventa fondamentale, al di là della ricostruzione di quanto è accaduto, capire come si è arrivati alla concessione per De Maria dell’art. 21. Intanto siamo di fronte ad una casistica particolarmente ampia. Alcuni casi solo quest’anno. A gennaio un 46enne, detenuto presso il carcere di Milano Opera, ha trascorso il suo permesso premio di Capodanno in modo drammatico a Cermenate, causando disordini. L’uomo, ospite di alcuni familiari, ha mostrato comportamenti aggressivi e violenti nei loro confronti. A febbraio in permesso premio per qualche ora, un detenuto del carcere di Eboli è stato protagonista di alcuni minuti di follia a Torre del Greco prendendo a schiaffi la compagna mentre era in auto. Successivamente ha speronato l’auto di un uomo che ha soccorso la donna, ne ha fermata un’altra in transito, minacciando chi era alla guida. Poi ci sono i casi in cui il permesso premio si trasforma in un’evasione dal carcere come quelli del detenuto di Perugia che non è tornato in carcere dopo il permesso premio e del detenuto sardo del carcere di Bancali che ha fatto lo stesso. Oppure le vicende del detenuto del carcere di Salerno che rientra in carcere dopo il permesso premio con cocaina nel corpo (ingerisce 30 ovuli) e dei detenuti che al rientro picchiano gli agenti al Cotugno e alle Vallette. Questo solo per fermarci agli ultimi e più recenti eventi che hanno coinvolto detenuti ‘premiati'”.
“Ma ciò che ci sconcerta è la sentenza n. 24 del 2025 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la norma che vietava per due anni i permessi premio ai detenuti imputati o condannati per reati commessi durante l’esecuzione della pena. Una decisione che esperti di diritto non hanno esitato a definire ‘storica’ perché ridisegna i confini tra giustizia punitiva e funzione rieducativa, riconoscendo maggiore autonomia ai magistrati di sorveglianza. Il provvedimento nasce dal ricorso di G. K., detenuto dal 2017 per tentata rapina e omicidio. Dopo anni di buona condotta, aveva ottenuto permessi premio per ricostruire i legami familiari. Nel marzo 2023, però, fu accusato di aver tentato di introdurre droga in carcere al rientro da un permesso. Pur non essendo ancora condannato per questo fatto (il processo è ancora in corso), la legge penitenziaria (art. 30- ter) gli precluse automaticamente nuovi permessi fino al 2025. Il magistrato di Sorveglianza di Spoleto ha sollevato il conflitto costituzionale ed ha ottenuto la sentenza favorevole. Sia chiaro – dice Di Giacomo – non abbiamo alcuna intenzione di condurre una ‘Crociata’ contro l’istituto dei permessi ai detenuti. Ci sia però consentito esprimere, raccogliendo diffusi dissensi di cittadini e ancor più di vittime e familiari di vittime, il nostro punto di vista: si riveda con urgenza la normativa sui permessi e gli istituti di cosiddetta rieducazione, almeno per chi ha commesso gravi delitti di sangue per scongiurare altre vittime”.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it