MILANO – I passanti hanno visto una macchia nera cadere velocissima sul suolo e sentito un botto, come uno sparo. Invece era un uomo, precipitato dalle guglie del Duomo di Milano- una caduta di diverse decine di metri- che ha rischiato di finire addosso a un ragazzino con passeggiava un peluche in mano. I racconti dei testimoni che si trovavano in piazza del Duomo o all’ingresso della Rinascente descrivono così gli attimi di terrore in cui Emanuele De Maria si è gettato dal tetto della cattedrale, poco prima delle due del pomeriggio di ieri, domenica 11 maggio. Il 35enne evaso dal carcere di Bollate era ricercato per aver accoltellato un collega di lavoro. E ora si ha anche la certezza che, prima di ammazzarsi, aveva ucciso un’altra collega, Chamila Wijesuriya, il cui corpo è stato ritrovato al Parco Nord.
IN TASCA UNA BUSTINA CON UNA CIOCCA DI CAPELLI DI CHAMILA
Dopo il volo finito sul sagrato della cattedrale, sono accorsi i soccorritori e gli agenti della polizia: per l’uomo caduto dalle guglie non c’era più nulla da fare, se non procedere all’identificazione. Non è stata difficile grazie alla fotocopia di un documento di identità e a un grande tatuaggio sull’addome: il volto dell’eroe greco Perseo che tagliò la testa a Medusa. In tasca l’uomo aveva una bustina con una ciocca di capelli: probabilmente della sua vittima Chamila, 50 enne originaria dello Sri Lanka. I due, colleghi di lavoro all’hotel Berna di Milano, dove De Maria faceva il receptionist grazie a un permesso dal carcere, pare che avessero avuto una relazione clandestina, interrotta per volontà della donna. Proprio questo sarebbe stato il movente che ha portato l’uomo ad ucciderla.
GLI ULTIMI PASSI DELLA VITTIMA CON IL SUO KILLER
Ed è con Chamila che De Maria era stato ripreso alle 15.13 di venerdì da una telecamera a Cinisello Balsamo, vicino alla casa dove la collega viveva con la famiglia, il marito e il figlio. L’occhio elettronico ha ripreso i due, il killer e la sua vittima, camminare sotto la pioggia in vialetto del Parco Nord. Venti minuti dopo il contapassi sul cellulare della donna non ha registrato più nessun movimento. L’uomo qualche ora dopo viene ripreso da altre telecamere di sorveglianza, quelle della metropolitana alla fermata Bignami. Addosso, a tracolla, portava un indizio inequivocabile di quello che era successo poco prima: la borsetta della donna.
“HO FATTO UNA CAZZATA”, POI LA FUGA
Che il destino di Chamila fosse segnato lo ha confermato poi lo stesso omicida che all’inizio della sua fuga di 48 ore in giro per Milano ha fatto delle telefonate con il cellulare della vittima. La prima a sua madre, poi alla cognata, la moglie del fratello, per ripetere lo stesso messaggio: “Vi chiedo perdono, ho fatto una cazzata”. Poi l’uomo ha gettato il telefonino in un cestino: è stato ritrovato da un addetto Atm grazie alle chiamate del marito di Chamila, preoccupato perché aveva saputo che non si era presentata al lavoro quel giorno. Il cadavere della donna invece è stato poi trovato solo domenica mattina al Parco Nord.
L’AGGRESSIONE AL COLLEGA DAVANTI ALL’HOTEL, LA CACCIA ALL’UOMO, IL SUICIDO
Dal momento in cui si disfa del cellulare, De Maria inizia a girovagare per la città ma dei suoi passaggi non ci sono segni, finché alle 6.15 di sabato arriva nelle vicinanze dell’hotel Berna, dove cerca di uccidere il collega Hani Fouad Abdelghaffar Nasra perché avrebbe convinto Chamila a interrompere la loro relazione. De Maria lo ha colpito con 5 coltellate, di cui una al collo che ha raggiunto carotide e giugolare. Ora l’uomo, italiano di 50 anni di origini egiziane, dopo un delicato intervento, è ricoverato all’ospedale Niguarda in terapia intensiva ma risulta fuori pericolo di vita. Dall’aggressione di sabato mattina è poi iniziata la caccia all’uomo per fermare De Maria, finita con la tragica decisione di farla finita precipitando giù dal Duomo.
“UN DETENUTO MODELLO” CON UN PRIMO FEMMINICIDIO IN CURRICULUM
Emanuele De Maria lavorava da quasi due anni come receptionist all’hotel “Berna” quattro stelle di via Napo Torriani, vicino alla Stazione Centrale di Milano, grazie a un permesso di lavoro dal carcere. Sei mesi fa era stato assunto a tempo indeterminato ed era ritenuto un detenuto modello. Parlava cinque lingue. Aveva avuto una moglie e una figlia in Olanda, dove era fuggito infatti nel 2016, dopo aver compiuto il suo primo femminicidio. A Castel Volturno aveva infatti ucciso la 23 enne tunisina Oumaima Rache. Due anni dopo, nel 2018, era stato catturato in Germania e condannato a 14 anni e tre mesi. Per questo delitto era stato condannato a 14 anni e tre mesi: la pena sarebbe finita a dicembre 2023.
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