ROMA – Sinner è terreno. La terra è di Alcaraz. Dopo Monte Carlo lo spagnolo si prende Roma, aggiungendo un giorno ai tre mesi di passione del numero 1. Un set di partita vera, 7-6, un altro di esibizione, 6-1. A 3 km dalla Cappella Sistina, dal comignolo del conclave, Sinner non replica l’intronizzazione di Prevost. Al Foro Italico, quasi mezzo secolo dopo Panatta, all’Italia maschile resta “solo” un’altra finale. La seconda finale di Sinner sull’argilla in carriera. Mai vinta una. L’altro è a quota 10, su 15. A 22 anni.
Carlos Alcaraz si conferma l’altra metà “più forte del mondo” al netto delle classifiche. Nella sua versione migliore, quella in bolla, al limite della perfezione che serve – istruzioni alla mano – per battere Sinner. Gira al tiebreak un primo set praticamente perduto, con Sinner avanti 6-5 40-15. Incastra un minibreak e due ace in apertura, poi un nastro doloroso e una chiusura di set di pura bellezza.
Sinner accusa il colpo, balbetta. Appannamento, un po’ di ruggine fisiologica. In un amen lo spagnolo, come in trance, si ritrova avanti 3-0, battendo un ritmo ingiocabile. Poi dilaga con tutto l’inquietante repertorio di cui dispone bontà sua. Finisce tutto in un’ora e 43 minuti.
Sinner aveva lasciato un vuoto di potere pneumatico, con i supposti rivali a fare il gioco della sedia. Una rotazione velleitaria che ha prodotto 17 vincitori diversi in 17 tornei. Alcaraz, proprio lui, il “non-amico” aveva confessato di aver sofferto la pressione, un’ansia da prestazione tradotta in maniera plateale pure da Zverev. Per non dire di Jack Draper, Jakub Mensik, e Casper Ruud, i tre che con Alcaraz avevano approfittato della contumacia forzata del numero 1 per prendersi i 4 Masters 1000 a disposizione. Fettine d’una torta che Sinner aveva lasciato in tavola dopo aver giocato appena 7 partite a Melbourne. 21 set vinti, due persi. Alcaraz si conferma la sponda d’un duopolio.
La Roma del tennis è tutta femmina: in singolare, in doppio. Paolini, Errani. La fumata è azzurra lo stesso.
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