ROMA – Ad Haiti la situazione umanitaria non fa che aggravarsi e senza il sostegno delle organizzazioni internazionali, “la popolazione non ce la potrebbe assolutamente fare”. Parola di Fiammetta Cappellini, responsabile di Fondazione Avsi ad Haiti. L’agenzia Dire la incontra a Roma, sebbene la responsabile di Avsi viva stabilmente nel Paese caraibico dal 2006. Avendo osservato coi suoi occhi la storia recente, Cappellini prova tracciare luci e ombre di un Paese preda degli scontri tra bande armate e forze di sicurezza. Queste ultime hanno perso il controllo di gran parte della capitale Port-au-Prince, dove vivano 2-3 milioni di persone sui 10 milioni totali, e questo, spiega Cappellini, ha un impatto grave sulla vita dei civili: “Il numero delle vittime di atti di violenza è elevatissimo e questo crea una situazione socio-economica gravissima, che riduce oltre la metà della popolazione alla fame. I livelli di insicurezza alimentare sono alti e vediamo tassi di malnutrizione mai registrati”.
NON ENTRA PIÙ CIBO, LE BANDE CONTROLLANO LA CAPITALE E BLOCCANO GLI ACCESSI
Questo perché in città non entra più cibo: le bande, come continua la cooperante, “controllano il 75% della capitale e bloccano tutte le vie d’accesso: strade nazionali, aeroporto, porto, insieme alle vie di comunicazione principali con i dipartimenti periferici; controllano anche diversi punti della frontiera con la Repubblica Dominicana”. Di recente, la violenza si è anche allargata: “Cominciano a registrarsi focolai anche nelle principali città, come a Gonaives, nella zona dell’Artibonite, e questo destabilizza l’intera isola, Repubblica Dominicana compresa”. Un altro effetto della crisi, è il fenomeno migratorio. “Gli haitiani”, sottolinea Cappellini, “cercano con ogni mezzo di abbandonare il Paese, riversandosi nello Stato vicino oppure cercando di raggiungere il Messico, alimentando quella carovana di migranti che preme per entrare negli Stati Uniti”. La cooperante evidenzia i rischi: “Si tratta di persone che non emigrano seguendo un progetto preciso, bensì per la fretta di scappare e salvarsi. Questo le rende estremamente vulnerabili e difficilmente reintegrabili nel tessuto sociale dei Paesi in cui approdano, aumentando i livelli di povertà e rendendo il fenomeno complesso da gestire anche per questi Stati”.
DA 25 ANNI AVISI LAVORA AD HAITI. REALIZZA 22 PROGETTI MOLTO DIVERSIFICATI
Avsi lavora ad Haiti da 25 anni, nonostante le diverse crisi che hanno caratterizzato la storia recente del Paese: “Siamo diventati una presenza importante nella capitale e nelle zone rurali del sud e del nord” spiega la responsabile. “Realizziamo 22 progetti, molto diversificati a seconda dei contesti. Nella capitale, sono in corso interventi umanitari, di protezione umanitaria delle popolazioni vulnerabili – come bambini e donne vittime di violenza – e poi lavoriamo molto sulla sicurezza alimentare e la malnutrizione”. Quanto ai dipartimenti periferici, “gli interventi sono più orientati allo sviluppo agricolo, per sostenere una vita dignitosa e lottare contro la povertà estrema”.
CAPPELLINI: “CREDIAMO NELLA NECESSITÀ DI LAVORARE PER UN FUTURO MIGLIORE”
Importanti anche i progetti educativi, con 600 bambini che, grazie al Sostegno a distanza, possono andare a scuola, nutrirsi e avere luoghi in cui poter giocare e imparare. “Noi di Avsi crediamo molto nella necessità di lavorare per un futuro migliore che certamente parte dai bambini, ma non deve dimenticare i giovani”. Capellini evidenzia come la violenza abbia “radici profonde e manifestazioni non giustificabili, ma”, avverte, “uno dei motivi che la alimenta, è la mancanza di alternative valide per ragazze e ragazzi: il lavoro non c’è, allargando il bacino da cui le bande armate attingono nuove leve. È molto importante non abbandonare i giovani a loro stessi, sostenendo la loro autonomia economica e il loro futuro”.Tuttavia, nonostante i tanti impegni e obiettivi, “lavorare ad Haiti è estremamente difficile in questo momento per gli operatori umanitari, soprattutto per lo staff locale, anche perché Avsi conta 300 operatori di cui 295 haitiani. I nostri colleghi portano avanti un lavoro importantissimo pur essendo più esposti ai rischi. Rappresentano l’anima di una presenza essenziale”. Proprio perché “oltre metà della popolazione dipende da questi aiuti”, per Cappellini oggi “è importante più che mai sostenere le organizzazioni umanitarie”. Ancora la responsabile: “Ci sono tanti conflitti e crisi aperte nel mondo ma Haiti non deve essere dimenticata”.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it