BOLOGNA – “Riteniamo improbabile che ci sia stata una colluttazione all’interno dell’ufficio”. A dirlo, testimoniando in Corte d’Assise a Bologna nel processo a carico di Giampiero Gualandi, è il luogotenente della Sezione Investigazioni scientifiche del Nucleo investigativo dei Carabinieri del capoluogo emiliano Marco Benassi. Gualandi, 63enne ex comandante della Polizia locale di Anzola dell’Emilia, è accusato dell’omicidio volontario, aggravato dal legame affettivo con la vittima e dai futili motivi, della ex collega 33enne Sofia Stefani, con cui aveva una relazione extraconiugale. La donna fu uccisa nell’ufficio di Gualandi il 16 maggio dell’anno scorso da un colpo partito dalla pistola dell’imputato. Secondo Gualandi, il colpo partì casualmente durante una colluttazione, mentre per la Procura si tratta, appunto, di omicidio volontario.
Nel corso della sua deposizione, Benassi, che si occupò dei rilievi sul luogo del delitto il giorno dell’omicidio, sottolinea che “esaminando l’arma mi sembrò che non fosse stata pulita di recente, era particolarmente sporca”, aggiungendo che “riteniamo che contenesse 11 colpi: quello che è stato sparato, il colpo che abbiamo trovato in canna e i nove che erano nel caricatore”. Sulla scrivania, inoltre, “era presente una cassetta di legno con la scritta ‘Pulizia armi’, priva però dell’olio e della pezzuola, senza cui non si può pulire un’arma”. Esaminando il corpo della vittima, spiega poi Benassi, “rilevammo sul viso piccole lesioni puntiformi di colore nero, tipiche di un colpo di arma da fuoco sparato da vicino: il foro d’entrata era alla base della narice destra, quello d’uscita sul capo”.
Quando la procuratrice aggiunta Lucia Russo chiede quale fosse lo stato d’animo di Gualandi quel giorno, Benassi ricorda “un fatto che mi ha colpito. Durante gli accertamenti alla stazione dei Carabinieri di Anzola io mi rivolgevo a lui chiamandolo ‘signor Gualandi’ e a un certo punto lui mi ha risposto: ‘Commissario Gualandi’. Questa freddezza, questa mancanza di empatia nei confronti della vittima, mi ha colpito”. In aula, oltre all’imputato, sono presenti anche i genitori di Sofia Stefani. Durante la testimonianza di Benassi sono state proiettate anche alcune foto del corpo della vittima, scattate subito dopo l’omicidio: in quei momenti la madre di Stefani si è coperta il volto con le mani.
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