ROMA – Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, un dettaglio rimasto a lungo nell’ombra emerge con forza e scuote l’opinione pubblica. L’immagine di un’impronta insanguinata, attribuita ad Andrea Sempio, trasmessa dal Tg1, riaccende i riflettori sul caso di Garlasco. Una traccia che poteva essere rilevata già nel 2007, ma che oggi, con nuove tecnologie e un rinnovato impianto accusatorio, si trasforma in un potenziale punto di svolta nell’indagine.
Stando a quanto emerge dagli ultimi accertamenti condotti dalla Procura di Pavia, accanto al corpo della giovane, uccisa nell’estate del 2007 nella villetta di famiglia a Garlasco, sarebbe stata individuata un’impronta palmare riconducibile ad Andrea Sempio.
CONTATTO PAPILLARE N.33
L’impronta, classificata come “contatto papillare n.33”, fu repertata dai carabinieri già all’epoca del delitto sulla parete delle scale che conducono al seminterrato, ma venne ritenuta allora inutilizzabile. Secondo quanto riportato in una perizia del 2020, su richiesta dell’allora procuratore Mario Venditti e sollecitata dalla difesa di Alberto Stasi, l’impronta sarebbe stata lasciata prima che il corpo di Chiara venisse trovato in fondo alle scale, sporca di sangue e visibile solo grazie all’uso della luce UV.
All’epoca, quella traccia venne esclusa dalle analisi per la presunta assenza di creste rilevanti ai fini dattiloscopici. La nuova relazione tecnica, però, individua 15 punti di compatibilità con la mano di Sempio, ben oltre i 12 comunemente necessari per attribuire con certezza un’impronta digitale.
Il 9 luglio 2020 i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano mettono nero su bianco: “È logico-fattuale che quell’impronta appartenga all’assassino”. Tale elemento, insieme a tracce di DNA di Sempio rinvenute sotto due unghie della vittima, rappresenta ora uno dei principali indizi su cui si concentrano le nuove indagini.
Non è un dettaglio trascurabile nemmeno il fatto che, durante un prelievo forzato del DNA avvenuto in caserma a Milano, Sempio lasciò anche le sue impronte digitali sullo scanner. Poco dopo fu richiamato per un nuovo rilievo, questa volta con la tecnica tradizionale a inchiostro. Allora si parlò di problemi tecnici con i vetrini. Oggi si ipotizza che l’obiettivo fosse ottenere un confronto più accurato.
Sempio, oggi formalmente indagato, avrebbe dovuto presentarsi davanti ai magistrati per un interrogatorio. Ma non si è mai presentato. Il suo legale, Massimo Lovati, ha dichiarato la nullità dell’atto a causa dell’assenza dell’avviso previsto dalla lettera D dell’art. 375 del Codice di procedura penale, ovvero l’avvertenza che consente il possibile accompagnamento coatto.
Nel frattempo, Alberto Stasi – condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio – è stato ascoltato per la prima volta dalla Procura di Pavia, rispondendo a tutte le domande degli inquirenti. Anche Marco Poggi, fratello della vittima, è stato sentito in un interrogatorio svoltosi a Mestre.
Sullo sfondo resta la convinzione, sempre più solida per gli inquirenti, che ci sia un solo vero colpevole. E che la chiave per riscrivere la verità di quel 13 agosto 2007 possa trovarsi proprio in quelle tracce dimenticate e oggi riesaminate.
Il caso, nel frattempo, continua a suscitare attenzione mediatica. Anche il Tg1 ha trasmesso le immagini dell’impronta palmare attribuita a Sempio. La sua avvocata, Angela Taccia, ha commentato sui social in tono polemico e simbolico, evocando una “guerra dura senza paura” e facendo riferimento a presunte irregolarità nella notifica dell’atto.
Sullo sfondo, resta la speranza di Stasi di vedere finalmente riconosciuta la propria innocenza. I suoi avvocati continuano a sostenere che l’intera vicenda possa essere riscritta alla luce dei nuovi riscontri scientifici. Ma solo le nuove indagini potranno stabilire se davvero la verità processuale degli ultimi 18 anni sia destinata a cambiare.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it