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Terapie integrate, Franceschini (Policlinico Gemelli di Roma): “Esportare il modello Italia”


ROMA – In Italia circa 3,7 milioni di persone convivono con una diagnosi di tumore, pari al 6,2% della popolazione, ovvero un italiano su 16. Il 63% delle donne e il 54% degli uomini sopravvive a cinque anni dalla diagnosi e almeno un paziente su quattro raggiunge un’aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale, potendosi quindi considerare guarito. Questi dati emergono dal 7° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato in occasione della XX Giornata nazionale del malato oncologico, promossa dalla Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia).

UNO DEI NODI PIÙ CRITICI RESTA LA MOBILITÀ SANITARIA INTERREGIONALE

I bisogni delle persone con tumore sono molteplici e questi numeri chiamano in causa la politica, le istituzioni e le associazioni, chiamate a offrire soluzioni concrete. Uno dei nodi più critici resta la mobilità sanitaria interregionale che comporta impatti significativi nella vita quotidiana delle pazienti. Nonostante i progressi, esistono forti disuguaglianze territoriali, tanto che ad esempio molti pazienti calabresi devono ancora spostarsi fino a Roma per ricevere interventi chirurgici o addirittura trattamenti chemioterapici di prima linea (cioè la prima somministrazione di trattamento per pazienti mai sottoposti a chemio ndr.). I costi economici e fisici ricadono interamente sul paziente, già indebolito dalle cure, e sulle famiglie, costrette spesso a prendere giorni di ferie perché i permessi della Legge 104 non sono sempre sufficienti a coprire tutte le necessità. Un altro ostacolo concreto è rappresentato dalla “burocrazia sanitaria”, spesso trascurata ma estremamente gravosa. L’esenzione “048”, ad esempio, non garantisce automaticamente l’accesso rapido alle prestazioni e i malati oncologici si trovano costretti a lunghe attese per analisi, esami di controllo e accertamenti. Uniformare l’accesso ai servizi sanitari su tutto il territorio nazionale diventa quindi una priorità.

BREAST UNIT MODELLO VIRTUOSO

Un modello virtuoso in questa direzione è rappresentato dalle Breast Unit. Perché? “A partire da marzo 2025, è operativo il Registro Unico Nazionale delle Breast Unit, istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS)”, spiega alla Dire il professor Gianluca Franceschini, direttore della Breast Unit del Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma e professore ordinario di Chirurgia generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Il registro raccoglierà, centralizzerà e analizzerà i dati provenienti da tutte le Breast Unit italiane, offrendo una visione integrata della gestione del carcinoma mammario e migliorando la qualità delle cure”, aggiunge Franceschini. Il presidente del registro è il professor Rocco Bellantone e la sua missione sarà anche quella di: “Uniformare le pratiche cliniche a livello nazionale, rispondere ai nuovi bisogni delle pazienti e promuovere modelli integrati di cura”, prosegue Franceschini.

LA BREAST UNIT DEL GEMELLI È UN MODELLO UNICO A LIVELLO NAZIONALE

“In quest’ottica- continua- voglio presentare il modello Gemelli anche alla Regione Lazio, affinché venga adottato e replicato in tutte le Breast Unit italiane”. La Breast Unit del Gemelli rappresenta oggi un modello unico a livello nazionale, offrendo percorsi integrati diagnostico-terapeutico-assistenziali (Pidta) in convenzione con il Ssn. “Il nostro centro di senologia è attivo al Policlinico Gemelli dal 2006. Dopo la nascita delle Breast Unit, siamo diventati un riferimento nazionale. Il nostro ‘Breast Club’ conta oltre 60 specialisti che si riuniscono due volte a settimana per discutere ogni singolo caso clinico.” Nel 2014 è stata inoltre istituita presso il nostro Centro di Senologia anche l’Unità Semplice di Terapie Integrate in Senologia, diretta dal dottor Stefano Magno: “Al 10° piano del Gemelli- spiega Franceschini- svolgiamo attività di fisioterapia, agopuntura, mindfulness oncologica, programmi nutrizionali personalizzati, consulenze psico-oncologiche oltre a numerose altre terapie di supporto. Abbiamo sviluppato un protocollo innovativo che integra le terapie salvavita (come chemio, radio e ormonoterapia) con interventi complementari eseguiti da medici specializzati”.

LE TERAPIE INTEGRATE NON HANNO CONTROINDICAZIONI

“Le terapie integrate non hanno controindicazioni- sottolinea Franceschini- e anzi aiutano a contrastare gli effetti collaterali delle terapie tradizionali: fatigue, insonnia, nausea, dolori muscolari. Ridurre questi disturbi significa migliorare l’aderenza ai trattamenti e favorire un recupero psico-fisico più rapido ed efficace”. A queste si possono anche aggiungere eventualmente musicoterapia e arteterapia, strumenti utili a mitigare ansia, stress e tensioni emotive. Estendere questi servizi a tutti gli ospedali italiani richiede un cambiamento culturale e strutturale profondo. “Il primo ostacolo è di tipo economico- spiega Franceschini- perché servono risorse per il personale specializzato e per l’organizzazione. Il secondo è organizzativo. Al Gemelli, abbiamo la fortuna di essere sostenuti anche dalla Komen Italia che ha reso più agevole realizzare tutto questo”. “Il nostro obiettivo è esportare questo modello, a partire dal Gemelli-Isola, la sede sull’Isola Tiberina, e in seguito in tutte le Breast Unit d’Italia. Non si tratta di terapie accessorie, ma di interventi scientificamente validati, prescritti e condotti da medici formati, che arricchiscono l’efficacia delle cure tradizionali”.

FRANCESCHINI: “TRENT’ANNI FA ANCHE LE BREAST UNIT SEMBRAVANO UN’UTOPIA”

Il professor Franceschini poi ricorda: “Trent’anni fa anche le Breast Unit sembravano un’utopia. Oggi in Italia ce ne sono oltre 200. Le terapie integrate possono essere la prossima grande innovazione, capace non solo di migliorare la qualità della vita, ma anche gli esiti clinici. Servono visione, coraggio e il sostegno delle istituzioni.” “Mettere a punto i Pdta non è semplice. Per questo è essenziale il sostegno della politica, delle amministrazioni e delle associazioni, affinché si trovino le risorse necessarie e si migliorino le condizioni di vita e le prospettive cliniche delle pazienti”. Infine, un messaggio ai giovani colleghi: “Essere medici in oncologia non significa solo prescrivere farmaci o eseguire interventi chirurgici con destrezza ma anche ascoltare, accogliere e rispondere ai bisogni emotivi, psicologici e sociali delle pazienti. Significa accompagnarle con empatia, sostenerle nella loro fragilità, offrire fiducia e restituire speranza. È fondamentale dedicare tempo, attenzione e comunicare con cura, perché le parole hanno un potere enorme: possono ferire o curare, motivare o abbattere. Prendersi cura davvero significa farlo con dedizione, sensibilità, competenza e cuore”, conclude il professor Franceschini.
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