ROMA – Le famiglie italiane sono sempre più piccole e frammentate, ma anche povere e “libere da etichette”. Insomma, la tipica famiglia tradizionale ‘made in Italy’ è sulla via di estinzione: è quanto emerge nel Rapporto annuale 2025 dell’Istat, pubblicato oggi, 21 maggio.
CRESCE LA SOLITUDINE, FAMIGLIE SENZA FIGLI O MONOGENITORIALI
Nel biennio 2023-2024 le persone sole costituiscono il 36,2 per cento delle famiglie, mentre le coppie con figli scendono al 28,2 per cento. L’instabilità coniugale, la bassa fecondità e il posticipo della genitorialità favoriscono la crescita di famiglie senza figli o monogenitoriali. Secondo quanto riporta l’Istat, l’aumento delle persone sole interessa tutte le età, ma soprattutto gli anziani. Quasi il 40 per cento delle persone di almeno 75 anni vive da solo, in prevalenza donne.
NUOVE FORME FAMILIARI, QUALI E QUANTE?
Le nuove forme familiari ridisegnano la composizione sociale. Famiglie ricostituite, coppie non coniugate, genitori soli non vedovi e persone sole non vedove rappresentano oggi il 41,1 per cento delle famiglie, segnando una trasformazione strutturale nella geografia familiare del Paese.Il 63,3 per cento dei giovani tra 18 e 34 anni vive con i genitori, un valore tornato al livello del 2019 ma in crescita rispetto al 2010. Questo fenomeno, accentuato dalla crisi economica e dalla pandemia, si deve alle difficoltà che i giovani incontrano nel realizzare i loro progetti di autonomia e il raggiungimento dell’indipendenza economica.
CRESCE IL RISCHIO DI POVERTÀ ASSOLUTA PER FAMIGLIE GIOVANI CON MINORI
Nel 2023, nell’UE27 oltre 94 milioni di persone (21,3 per cento del totale) sono a rischio di povertà o esclusione sociale. In Italia, nello stesso anno, si trova in questa condizione il 22,8 per cento della popolazione residente, un dato in sostanziale diminuzione rispetto al passato (era 28,4 per cento nel 2015), a differenza di Paesi come la Francia e la Germania, nei quali il rischio di povertà o esclusione sociale (rispettivamente, 20,4 per cento e 21,3 per cento) è in aumento rispetto al 2015 (+2,0 e +1,3 punti percentuali). È quanto si legge nel Rapporto annuale 2025 dell’Istat, pubblicato oggi.Nel 2024, oltre un quinto della popolazione residente in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale: il 23,1 per cento della popolazione, sostanzialmente stabile rispetto al 2023, ricade in almeno una delle tre condizioni che definiscono il rischio di povertà o esclusione sociale: rischio di povertà (18,9 per cento), grave deprivazione materiale e sociale (4,6 per cento), bassa intensità di lavoro (9,2 per cento).Il Mezzogiorno resta l’area più esposta al rischio di esclusione sociale. L’incidenza raggiunge il 39,8 per cento nel Sud e il 38,1 per cento nelle Isole. L’incidenza è più bassa per chi vive in coppia senza figli, soprattutto se la persona di riferimento della famiglia ha almeno 65 anni (15,6 per cento), ed è invece quasi doppia per gli individui che vivono in famiglie in cui il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni (30,5 per cento).Nel 2023 la povertà assoluta resta stabile, ma su livelli elevati. Le famiglie in povertà assoluta sono 2,2 milioni (8,4 per cento del totale), mentre gli individui coinvolti sono circa 5,7 milioni di persone, pari al 9,7 per cento della popolazione residente. Rispetto al 2014, l’incidenza è aumentata di 2,2 punti percentuali a livello familiare e di 2,8 punti a livello individuale.
Le famiglie con minori restano le più esposte alla povertà assoluta. Nel 2023, tra le famiglie con figli minori l’incidenza di povertà assoluta raggiunge il 12,4 per cento (13,8 per cento a livello individuale), con un incremento di oltre 4 punti rispetto al 2014. I minori in povertà assoluta sono circa 1,3 milioni.L’incidenza della povertà assoluta diminuisce con l’aumentare dell’età della persona di riferimento della famiglia. È pari al 6,2 per cento tra gli individui di 65 anni e più, e scende al 5,7 per cento tra le famiglie composte di soli anziani, cioè 441mila famiglie (contro l’11,3 per cento delle famiglie di soli giovani in condizione di povertà assoluta, 202mila).La povertà assoluta è più diffusa nel Mezzogiorno dove il 10,2 per cento delle famiglie è in povertà assoluta (859mila famiglie). In quest’area del Paese, l’incidenza sale al 12,8 per cento per le famiglie composte di soli giovani.Le famiglie giovani con figli sono tra le più vulnerabili. Tra le famiglie giovani con almeno un figlio minore l’incidenza di povertà assoluta sale al 15,2 per cento, contro il 10,0 per cento delle famiglie giovani senza figli minori. Valori elevati si riscontrano anche tra le persone sole e, all’estremoopposto, tra le famiglie numerose.Il livello di istruzione incide fortemente sul rischio di povertà assoluta. Nelle famiglie in cui la persona di riferimento ha al massimo la licenza media, l’incidenza è pari al 13 per cento, mentre scende al 4,6 per cento tra chi possiede almeno un diploma di scuola secondaria superiore.
IN 40 ANNI CROLLA IL NUMERO DEI MATRIMONI, CRESCONO LE NUOVE FORME FAMILIARI
Negli ultimi quarant’anni i matrimoni hanno registrato una progressiva e continua diminuzione, al netto di brevi oscillazioni congiunturali, dovuta alla riduzione delle generazioni più giovani per via della denatalità persistente e a un cambiamento radicale nelle scelte familiari: sii legge nel Rapporto annuale 2025 dell’Istat.Per le donne nate nel 1933 (le ipotetiche nonne) il tasso di primo-nuzialità realizzato entro i 40 anni è stato pari a 879 matrimoni per mille donne, 870 per le nate nel 1958 (le ipotetiche madri), mentre è crollato a 578 per le loro figlie (nate nel 1983, oggi appena quarantenni); quest’ultimo valore è inferiore a quello che la ipotetica generazione delle madri aveva raggiunto già entro l’età di 25 anni (647).Nel 1973, anno in cui la generazione delle ipotetiche nonne raggiunge i 40 anni, sono stati registrati 418mila matrimoni, di cui il 95,9 per cento costituito da primi matrimoni celebrati con rito religioso; l’età media al primo matrimonio era di 27,2 anni per gli uomini e 24,0 per le donne. Nel 1998, quando la generazione delle ipotetiche madri raggiunge i 40 anni, i matrimoni sono già scesi a 280mila, in particolare per il crollo delle prime nozze, e l’età media al primo matrimonio, in rapida crescita, arriva a 30,2 e a 27,2 anni, rispettivamente per uomini e donne. Nel 2023 sono state celebrate poco più di 184mila nozze, di cui il 58,9 per cento con il rito civile (47,5 per cento nei primi matrimoni).Crescono le nuove forme familiari: le unioni libere (oltre 1 milione e 700mila) e le famiglie ricostituite coniugate (840mila) insieme rappresentano quasi una famiglia su 10. Le unioni libere sono ormai diffuse tra celibi e nubili, che rappresentano circa due terzi dei casi, come alternativa o fase precedente al matrimonio, mentre circa un quinto è costituito da nuove unioni per separati e divorziati; meno frequenti quelle con almeno un vedovo.Nel 2023 si sono registrate oltre 82mila separazioni e circa 80mila divorzi. Dal 1970, anno in cui il divorzio è stato introdotto nell’ordinamento italiano, il numero dei divorzi è aumentato costantemente fino al 2015, quando si è registrato un forte incremento (+57,5 per cento) legato all’introduzione di modifiche normative. Cresce l’età media alla separazione: tra il 2000 e il 2022 è salita di circa 9 anni per uomini e donne. Aumentano le separazioni in età matura, con valori triplicati dopo i 65 anni (da 1,6 per cento del 2000 a 5,8 del 2022).
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