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G7 Settimanale. La questione israelo-palestinese oltre i 2 Stati


ROMA – “Ad oggi, la prospettiva di uno Stato di Palestina è impensabile. Dobbiamo trovare la formula più adatta per costruire uno Stato unitario”. Parte da qui l’analisi di Omar Shaban, politologo esperto di Medio Oriente, fondatore e direttore del think tank Palthink for Strategic Studies, istituito nella Striscia di Gaza nel 2019. Shaban, incontrato in un meeting con una delegazione di politici italiani al Cairo, tiene a premettere: “Sono nato e cresciuto a Gaza. Sono un ricercatore indipendente che ha vissuto nella Striscia, parlando con tutti, gente comune e partiti. Ho una visione costruita anche lavorando per dieci anni come consulente del governo svizzero per la riconciliazione tra Hamas e Fatah”.

IL 7 OTTOBRE E GLI EFFETTI “SU TUTTO IL MEDIO ORIENTE”

Il politologo continua: “Non sappiamo se la guerra del 7 ottobre 2023”, che ha causato nell’immediato 1200 vittime e 244 ostaggi, “sia l’evento che ha innescato i cambiamenti nella regione, né sappiamo se questo esito fosse calcolato. Ma è certo che abbia avuto conseguenze non solo a Gaza e Cisgiordania, ma anche in Libano, Siria e Iran”, dove i movimenti islamisti hanno subito un duro colpo. Inoltre, per Shaban “oggi Paesi come Arabia Saudita e Qatar sono politicamente molto più forti di altri come Iraq o Egitto”.Un elemento importante, se si pensa che l’Iraq è interessato dal dossier siriano, mentre l’Egitto è – insieme al Qatar – il principale mediatore per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas.

L’OFFENSIVA CARRI DI GEDEONE E NEGOZIATI SUL CESSATE IL FUOCO AZZERATI

Negoziati che, da quando il governo di Tel Aviv ha lanciato l’offensiva Carri di Gedeone per portare a termine la conquista di Gaza, sono “giunti a un punto morto”, anche per quanto riguarda il rilascio degli ostaggi israeliani, come ha avvertito in settimana il premier e ministro degli Esteri del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani. Ieri, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha richiamato i propri delegati a Doha, mentre subisce critiche da numerosi Paesi, anche dopo gli “spari di avvertimento” diretti a una delegazione di diplomatici da 25 Paesi in visita a Jenin, in Cisgiordania, esplosi dai soldati. Il Regno Unito il giorno prima aveva già sospeso i rapporti commerciali con Tel Aviv, in segno di protesta per l’offensiva militare e il blocco totale all’ingresso di di beni nella Striscia, che prosegue dal 2 marzo. L’Onu ha avvisato che la carestia è imminente e che rischiano la vita 14mila bambini.

OLTRE 2 MILIONI DI ABITANTI DI GAZA TRA RAID, PRIVAZIONI E SFOLLAMENTI

Israele giustifica queste azioni con la necessità di togliere forza ad Hamas, sia tagliando i canali di rifornimento sia esigendo la presa del controllo militare del territorio. I 2,2 milioni di abitanti di Gaza continuano così ad essere nella morsa di attacchi e privazioni, oltre che di sfollamenti forzati verso le zone indicate come “sicure” dall’esercito di Israele. Gli organismi umanitari continuano a ricordare che, secondo il diritto internazionale, gli aiuti non possono essere negati, né inseriti in una strategia militare, mentre negano il fatto che le scorte potrebbero finire nelle mani del movimento politico-militare.

“DOPO 19 MESI DI CONFLITTO, L’OPINIONE PUBBLICA DELLA STRISCIA NON SOSTIENE HAMAS”

Così, continua Shaban, questi 19 mesi di conflitto “hanno sicuramente modificato profondamente l’opinione pubblica palestinese”. “Le 80mila tonnellate di ordigni israeliani – 40 chili in media per ogni abitante di Gaza – hanno reso Hamas non più il benvenuto nella Striscia”. Dopo 53mila morti e la distruzione dell’80% della Striscia, “è chiaro a tutti che l’opzione militare è fallita: non si può reggere il confronto con la potenza dell’esercito israeliano”. Evidenziando che “la popolazione non c’entra niente col 7 ottobre” e che l’aggressione nel sud di Israele “è stata decisa dai 15 membri del Consiglio di Hamas”, Shaban informa: “Un sondaggio di due settimane fa rivela che il sostegno al movimento di resistenza palestinese è crollato al 5%” allorché “tra maggio e giugno 2021 – quando avrebbero dovuto tenersi le elezioni poi annullate dal presidente dell’Anp, con la scusa che Israele impediva ai palestinesi di Gerusalemme Est di poter votare – Hamas era dato al 15% nella Striscia e al 25% in Cisgiordania”.Pertanto, “i palestinesi ora auspicano nell’avvento di nuovi esponenti politici che non si limitino alle parole, ma sappiano portare proposte e cambiamenti concreti. Gli stessi sondaggi citati danno ad esempio l’Autorità nazionale palestinese al 29%. Assisteremo alla nascita di una nuova leadership”.Insomma, dopo 20 anni, per Omar Shaban “i palestinesi di Gaza vogliono che Hamas lasci il governo della Striscia ma non per una questione politica, bensì pratica: sanno che altrimenti, la comunità internazionale non sosterrà mai la ricostruzione di Gaza”. Se Hamas vuole restare, suggerisce l’esperto, deve accontentarsi di “partecipare al sistema partitico palestinese”.

QUESTIONE PALESTINESE, NON È PIÙ UNA PRIORITA PER MONDO ARABO; PERSA FIDUCIA NELL’EUROPA

Per l’opinione pubblica palestinese sarebbe inoltre chiaro che “per il mondo arabo, la questione palestinese non è più una priorità”. Non sarebbe passato inosservato che, “dopo la visita del presidente Trump nel Golfo”, volta a rilanciare rapporti commerciali ed energetici, i leader di Qatar e Arabia Saudita abbiano “dedicato solo poche parole al genocidio in corso a Gaza”. Per il direttore di Palthink, lo stesso vale “anche per l’Europa: i palestinesi sono profondamente delusi dalle posizioni espresse dai leader europei, hanno perso fiducia. Prima- evidenzia l’analista- avevamo valori comuni, ora se uno di questi leader venisse a Gaza, di cosa potrebbe parlare? Di diritti umani, che non esistono più? Di diritto internazionale, che ha fallito? Tutto questo è molto pericoloso perché rischia di incoraggiare un’ondata di radicalizzazione a Gaza. Non dimentichiamo che questo conflitto ha prodotto 20mila orfani. Come cresceranno e cosa credete che penseranno dell’Occidente?”, il quesito che Shaban lancia, aggiungendo: “Netanyahu sta consapevolmente costruendo il proprio futuro nemico”.

“LA SOLUZIONE DUE POPOLI DUE STATI NON HA POSSIBILITÀ”

Infine, altra vittima del conflitto, avverte Shaban, “è la soluzione ‘due popoli e due Stati’, di cui continuo a sentir parlare, sebbene non ci sia più nessuna possibilità che veda la luce. Primo, perché si tratta di un territorio troppo piccolo per due nazioni, Ma, cosa più importante, Israele – a partire da Netanyahu e dai ministri Ben-Gvir e Smotrich – non ha nessuna intenzione di realizzarla. Non lo ha mai voluto”. Lo stesso premier Isaac Rabin, “seriamente interessato alla pace, fu assasSinato dopo gli accordi di Oslo per mano di un israeliano, non di un palestinese”. Pertanto, conclude l’esperto di Palthink, “non resta che creare un unico Stato, magari guardando al modello di Stati federali che già esistono in Europa, trovando un modo affinché i due popoli convivano pacificamente, insieme”.
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