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Uno scudetto a forma di McTominay: fenomenologia del tuttocampista “liberato”


NAPOLI – Scott McTominay non voleva solo partecipare alla festa. Tantomeno il potere di farla sorrentinianamente fallire, macché. McTominay ha preteso di intestarsela, la festa. La sforbiciata dell’1-0 al Cagliari è un rogito. Aveva messo la caparra per fare di Napoli la sua casa, e poi ha sfondato la porta. E’ entrato dappertutto: nei cuori, nelle teste, nel ventre molle d’una città che mai avrebbe pensato d’innamorarsi d’un georgiano e uno scozzese, dopo l’amore eterno per un argentino.

Bisogna capirlo, Scott McTominay. Perché i gol sono la facciata, la polvere di stelle che sbrilluccica tra i fumogeni mefitici del quarto scudetto. Ma viene da lontano, il “fenomeno” McTominay. Al di di là della narrazione luogocomunista – il “Mcfratm”, la rivelazione dei pomodori San Marzano – il tuttocampista made in Manchester è in realtà una creatura postmoderna della Serie A, di Conte, e del Napoli. Un caso di incastri tecnico-tattici, ma soprattutto comportamentali.

McTominay veniva da 20 anni e passa di United. Una sorta di tana delle tigri industriale. Di lui, scrive il Times, si era diffusa la percezione come di un certo tipo di giocatore: umile, attento e, soprattutto, immancabilmente obbediente. Quando sbocciò una prima volta, era il 2018, c’era Mourinho. Una fonte interna disse all’Independent che Mou lo considerava “una tela bianca ideale”, uno a cui “dare istruzioni tattiche specifiche che verranno eseguite rigorosamente”.

L’anno dopo The Athletic lo descriveva come “un giocatore la cui abilità più grande sembra essere quella di fare esattamente ciò che l’allenatore gli dice di fare”. E nel 2021, con Ole Gunnar Solskjaer in panchina, un’altra voce di spogliatoio lo descriveva così: “Segue le istruzioni. Non fa domande, è concentrato, sintonizzato, assimila le informazioni”. Un soldato. Forze speciali. Un navy seal della subordinazione intelligente.Col tempo, ovviamente, questa qualità è diventata un paradosso. Più dimostrava di saper eseguire alla perfezione dettati specifici e consegne tattiche, più il suo ruolo diventava nebuloso, poco definito. L’hanno messo ovunque: da registra arretrato, da numero 8 box-to-box, con Mourinho e in nazionale persino difensore centrale (roba da chiedere immeditato ritiro della licenza Uefa). Ha giocato come seconda punta per Erik ten Hag. Lui invece voleva solo essere libero, fluido, non semplicemente malleabile. In un’intervista al sito dello United, nel 2023, dice che la sua partita ideale è “una corrente”, in cui lui non è solo in sintonia con le istruzioni, ma ne viene avvolto. Il suo ruolo ideale è “perdersi nel gioco”.E’ così che è sbarcato a Capodichino. Scrive il Times: “Quando ha firmato per il Napoli di Antonio Conte abbiamo tutti pensato: il centrocampista più docile del mondo, che gioca per l’allenatore più chiassoso del mondo, in un campionato in cui la gesticolazione operistica da bordo campo non è solo una caratteristica, ma una forma d’arte. Tanta corsa, tanti urli, e impegno totale. Ci saremmo aspettati McTominay primo in Serie A per distanza percorsa. Ci saremmo aspettati l’impegno totale nell’apprendimento della lingua”. Che giocasse tantissimo, e che segnasse qualche gol. “Ma non ci saremmo aspettati la libertà, la gioia, la crescita personale; il sorriso sul suo volto, non solo i chilometri nelle sue gambe. McTominay che fa colpi di tacco, McTominay che elogia la dolcezza dei pomodori locali, McTominay immortalato in un murale nascosto in un’edicola barocca in un vicolo accanto a una chiesa napoletana, McTominay soprannominato McTomadona”.Questa è la cronaca di una liberazione, una storia persino intima dentro quell’ingombrante involucro del quarto scudetto napoletano. Citiamo sempre il Times: se “all’Old Trafford, la carriera di McTominay è stata caratterizzata in una certa misura dalla deferenza, dal non accettare idee al di sopra del suo rango, a Napoli, non ha questo complesso. Non è più il ragazzino compiacente delle giovanili. Può fare ciò che gli viene naturale, inconsciamente”.

Conte ha invertito il paradosso, gli ha permesso di perdersi nel gioco, la sua posizione ideale. Ha cambiato modulo ad inizio stagione, apposta per lui. Ha rotto le sue gabbie. Ha costruito il suo Napoli attorno a lui. E McTominay ha ricambiato. In elevazione costante, da settembre a maggio. Mancava giusto una sforbiciata da copertina Panini per ribadire il concetto.
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