ROMA – E all’improvviso Re Carlo è diventato Carlinho. “Mi hanno soprannominato così e mi piace”, confessa Carlo Ancelotti a Donatella Scarnati a pochi giorni dall’esordio sulla panchina della Nazionale brasiliana. In una lunga intervista – disponibile su Vivo Azzurro Tv – l’unico allenatore ad aver vinto il titolo nei cinque principali campionati europei (Italia, Inghilterra, Francia, Germania e Spagna) e il solo ad aver alzato per cinque volte al cielo la Champions League racconta al microfono della piattaforma Ott della Figc la sua esaltante carriera, a cominciare dall’ultimo viaggio che da Madrid lo ha portato a Rio de Janeiro: “Adesso inizia un’altra avventura, è una responsabilità grande, ma anche una grande felicità avere l’opportunità di allenare la nazionale brasiliana. Sono stato accolto con molto affetto, spero di preparare bene la squadra e fare in modo che sia competitiva al prossimo Mondiale”. Imparare una nuova lingua non sarà un problema: “Dovrò studiare il portoghese come ho dovuto studiare il francese, l’inglese, lo spagnolo: mi aiuterà il fatto che il portoghese ha la stessa grammatica”.
LA VITTORIA È UN ATTIMO FUGGENTE –
“Capitano, mio capitano!”. Immaginateveli come gli studenti dell’Attimo fuggente, la celebre pellicola del 1989 diretta da Peter Weir e interpretata da uno straordinario Robin Williams. I suoi ragazzi, i suoi campioni, tutti in piedi sui banchi di scuola come sulle panche di uno spogliatoio per rendere il giusto tributo al loro maestro. Carlo Ancelotti come John Keating, il calcio che diventa poesia, il sentimento che prevale su schemi e metrica. Sapersi emozionare per poter emozionare.
“Mi commuovo abbastanza facilmente- rivela- la lacrima mi viene facile e non è un problema”. Lui, vincente per antonomasia, sa vincere perché ha imparato dalle sconfitte: “La vittoria è un attimo fuggente (sic!), festeggi e guardi avanti. La sconfitta è uguale: è dispiacere, tristezza, ma il calcio ti dà sempre l’opportunità di guardare avanti. Mi tengo tutto, le vittorie e le sconfitte. Le sconfitte ti danno modo di migliorare”. Una vita con la valigia in mano, ma il ritorno a casa non ha prezzo: “Tornare a Reggiolo mi dà energia, tengo vivi i ricordi di una bella gioventù. In casa non c’è mai stata una discussione, c’era armonia. L’unica cosa che mancava erano i soldi, ma non si parlava mai di soldi”. I soldi sono arrivati insieme al successo e ai successi, ma c’è una cosa che non è mai cambiata. E che è stata il vero motore di una carriera eccezionale: “Reggo l’usura del tempo grazie alla passione che ho sempre avuto per il calcio.Questa passione ti fa sopportare la pressione e lo stress”.
Anche l’ironia gioca un ruolo importante. Paolo Maldini ha raccontato come con le sue battute Ancelotti sapesse stemperare la tensione prima di scendere in campo per una finale: “Andavamo a vincere perché eravamo bravi, non perché facevo le battute. Essendo stato calciatore magari alcune cose le capisco prima di uno che non è stato calciatore”.
LEADER CALMO
Se con gli scarpini ai piedi ha vinto tanto, da allenatore ha vinto tutto. Lo scorso 24 marzo a Coverciano – dove ha tenuto una lezione tecnico-tattica davanti ai propri colleghi – è stato celebrato con la consegna di una Panchina d’oro speciale per il trionfo nella Champions League 2024, quarto riconoscimento ricevuto dal Settore Tecnico della FIGC (due Panchine d’oro e due Panchine d’oro speciali). Il trait d’union tra le sue due vite sportive è un allenatore nato a Fusignano, a poco più di cento chilometri dalla sua Reggiolo. Di Arrigo Sacchi è stato calciatore/allievo al Milan, poi suo vice in Nazionale nel Mondiale americano: “È stato un innovatore, ha portato qualcosa di nuovo nel calcio a livello tattico e di metodologia. Ho lavorato tanti anni con lui da giocatore e allenatore, è stato per me un maestro molto importante”. Ma la gestione del gruppo non si impara dentro un’aula, un ‘leader calmo’ non nasce in provetta: “Non l’ho studiato, sono fatto così e cerco di trasmettere la mia identità e il mio carattere nella relazione con gli altri. Il carattere si forma con i maestri che hai avuto nell’infanzia: tuo papà, gli insegnanti a scuola e gli allenatori. La convivenza tra i grandi campioni dipende dall’intelligenza individuale di ciascuno di loro. Solitamente il grande campione è serio, professionale e lavora bene. La gestione non è così complicata”. Ma non bisogna dimenticarsi che il campione è spesso anche un ragazzo molto giovane, che spesso suo malgrado si ritrova a diventare una sorta di piccolo polo industriale: “Il rapporto con i giovani oggi è più complicato rispetto al passato. Per i calciatori è cambiato lo status: oggi un giovane ha molte più responsabilità addosso rispetto a quella che avevo io quando ero calciatore. Ora dietro ha tanta gente: c’è il procuratore, ci sono i genitori, i fratelli e le sorelle.La responsabilità è veramente molto alta”.
Si gioca tanto, per Ancelotti troppo. “Credo che le federazioni, la Uefa e la Fifa debbano trovare una soluzione per il bene del calcio, per preservare la qualità del gioco, ma soprattutto la salute dei calciatori”. E anche la sacralità dello spogliatoio è stata in parte violata. In un’epoca social, in un mondo sempre più interconnesso, si chatta di più e si parla di meno: “I giocatori si isolano molto con le cuffie, con la propria musica. Addirittura ai miei tempi non si poteva ascoltare la musica negli spogliatoi perché deconcentrava. Oggi non c’è molta comunicazione tra i calciatori perché tutti i giovani sono concentrati sul proprio telefono”.
UNA GRANDE FAMIGLIA
Conosciuta a Londra nel 2011, Mariann – manager canadese di origini spagnole – tre anni dopo è diventata sua moglie: “Stiamo vivendo una perenne luna di miele – racconta – discutiamo poco, lei è molto comprensiva nei miei confronti e mi lascia i miei spazi. Abbiamo una famiglia grande, io ho i miei due figli (Katia e Davide, ndr), c’è la figlia di Mariann, Chloe, e abbiamo cinque nipoti. Viviamo molto bene insieme e questo è molto importante per me a livello personale e anche per il mio lavoro”. Suo figlio Davide è ormai da anni uno dei suoi più stretti collaboratori: “Ha fatto tutta la trafila, è un assistente affidabile e ancora più affidabile perché c’è un grado di parentela molto vicino. Ha quindi più confidenza rispetto ad altri assistenti e può dirmi cose che a volte gli altri fanno più fatica a dirmi”. Ma Davide non è stato l’unico membro della famiglia ad aiutarlo nella sua vita professionale: “La mamma di Mariann è stata la mia professoressa di spagnolo. Insegnava letteratura spagnola in Canada e, quando ho deciso di venire al Real Madrid, lei per due mesi mi ha fatto un corso accelerato di spagnolo”. Famiglia, salute e calcio: è questo il tridente a cui Ancelotti non vuole rinunciare: “Alla fine della fiera è la salute il più grande desiderio per me e per quelli che mi sono vicini. Tra venti, trenta o quarant’anni vorrei essere lucido e coltivare quella che è stata e sarà sempre la mia passione: il calcio”.
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