ROMA – Giovanni Brusca è ufficialmente un uomo libero. Dopo aver scontato 25 anni di carcere e quattro anni di libertà vigilata, si sono conclusi anche gli ultimi obblighi di legge. Da alcuni giorni, il boss mafioso che azionò il telecomando nella strage di Capaci del 23 maggio 1992 non ha più vincoli orari né l’obbligo di firma: ha finito di scontare la sua pena.
Brusca, noto come il “macellaio” di San Giuseppe Jato, era stato arrestato nel 1996 e si era pentito l’anno seguente. La sua collaborazione con la giustizia, pur contestata da molti, è stata ritenuta determinante per ricostruire decenni di omicidi e dinamiche interne a Cosa nostra, ottenendo così i benefici previsti dalla legge sui collaboratori di giustizia, voluta dallo stesso giudice Giovanni Falcone.
Oltre alla strage di Capaci, Brusca è stato ritenuto mandante dell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un collaboratore, rapito a 13 anni, tenuto in ostaggio per mesi e poi ucciso e sciolto nell’acido. Ha ammesso di aver preso parte a oltre 150 omicidi.
Il ritorno alla piena libertà dell’ex boss ha suscitato reazioni indignate da parte dei familiari delle vittime di mafia. Tina Montinaro, vedova del caposcorta Antonio Montinaro, ha dichiarato: “Sappiamo che la legge è stata applicata, ma è come se non fosse mai successo niente”.
L’autista sopravvissuto alla strage, Giuseppe Costanza, ha commentato: “La libertà viene data agli attentatori, mentre le vittime restano sotto terra per sempre”.
Brusca, oggi, vive sotto protezione e lontano dai riflettori. Ha detto di voler proseguire, anche da uomo libero, il suo impegno contro la mafia. Ma per molti, quella libertà pesa ancora come un’ingiustizia.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it