ROMA – Il taser “non ha avuto alcun ruolo” nella morte di Riccardo Zappone, il 30 enne deceduto martedì scorso, 3 giugno, a Pescara, a seguito dell’uso della pistole elettrica da parte degli agenti di polizia, intervenuti per sedare la rissa in cui l’uomo era rimasto coinvolto.
“IL TASER NON HA DETERMINATO LA MORTE, AVANTI CON GLI ACCERTAMENTI”
Lo conferma la Procura di Pescara che affida ad una nota il parere del consulente tecnico medico legale chiamato dal Pm, a seguito dell’esame autoptico eseguito sul corpo della vittima. Il medico legale, Cristian D’Ovidio, professore dell’Università d’Annunzio di Chieti e Pescara, all’esito delle verifiche sul corpo di Zappone ha accertato che il “decesso è stato causato da ‘sommersione interna emorragica da trauma toracico chiuso’ e, soprattutto, che “l’utilizzo del taser da parte del personale di polizia non ha avuto alcun ruolo ai fini del determinismo della morte”, sottolinea la Procura. Ma non finisce qui: “Gli accertamenti- assicura la Procura- saranno completati anche con esami tossicologici e istologici sui prelievi eseguiti”. E le indagini “sono in corso- conclude- al fine di accertare fatti circostanze e responsabilità della morte violenta del 30enne Riccardo Zappone, vittima in condizione di particolare vulnerabilità”.
LA LITE IN OFFICINA E I TRE INDAGATI PER LESIONI
Da ieri infatti ci sono tre indagati per la vicenda di Riccardo Zappone che ha sì avuto un malore in questura, dov’era trattenuto in attesa delle pratiche di arresto per resistenza a pubblico ufficiale. Prima ancora il 30enne, che aveva una certificazione di disabilità psichica, era rimasto coinvolto in una violenta rissa all’interno di un’autofficina, per cui erano state chiamate le forze dell’ordine. Nella colluttazione Zappone sarebbe stato colpito alla testa e in altre parti del corpo e “percosso anche mediante l’uso di un bastone di legno, sino a subire ferite sanguinanti”, prima dell’intervento della polizia. Perciò con l’ipotesi di reato di lesioni volontarie aggravate dall’uso dell’arma e dal numero delle persone sono stati indagati il meccanico Angelo De Luca, il fratello Paolo De Luca e il genero Daniele Giorgini. Il meccanico, intervistato dal quotidiano Repubblica, respinge ogni accusa: “Io quel ragazzo non l’ho toccato, l’ho solo allontanato quando ha tentato di colpirmi”, sostiene. Infine: “Sono stato io a dire di chiamare la polizia, l’ho sollecitato più volte”, si difende.
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