ROMA – “Mi serve un po’ di tempo per me stesso, vorrei rivedere la mia famiglia, stare un po’ con loro e poi andiamo avanti”. Jannik Sinner è già passato alla fase dell’elaborazione. Mentre lo sport e qualche universo accessorio comincia ad analizzare la finale del Roland Garros per sminuzzarla, farne piccole dispense, lezioni da tramandare: bellezza, fair play, tigna, abnegazione. E pietà. Sì, pietà, come scrive Jonathan Liew sul Guardian: “Pietà per le loro squadre e famiglie, intrappolate nelle convulsioni, con una pressione sanguigna crescente a ogni istante che passava. Pietà per le palline da tennis, colpite e picchiate senza pietà nella notte parigina. Pietà per Andre Agassi che guardava, e che si sarebbe potuto giurare avesse i capelli all’inizio di questa partita”.
Ogni colpo di quella partita di cinque ore e mezza è un appunto. Sinner non è ancora andato a dormire che già in conferenza stampa spiega: “Finché stai ancora giocando, non pensi alle occasioni che hai avuto. Ho cercato di cancellare tutto, in ogni set. Negli Slam si cerca di ricominciare da zero. Ero ovviamente deluso per il quarto set, per i match point che non avevo sfruttato e per il servizio. Ma sono sempre rimasto mentalmente dentro la partita, non gli ho concesso punti gratuiti. Poi quando la partita è finita, è finita. È una sensazione diversa, non puoi più cambiare quello che è successo. Ma quando inizi il quinto set, sei convinto di poter ancora avere il controllo di ciò che può accadere in campo”.
Se ancora qualcuno ancora si chiedesse come funziona la mente del fuoriclasse, ecco qua. Frustrazione, certo. Ma tutto fa eredità. “Oggi riesco anche a resettare, ma questo è lo sport. Se fossi felice e basta perché ho fatto parte di una finale ci sarebbe qualcosa che non funziona. Fa male ma è andata così, ora c’è tanta amarezza”.
“Guardare Sinner al suo meglio è come guardare un escavatore idraulico che demolisce metodicamente un ponte – scrive ancora il Guardian – Le tecniche e le istruzioni sono esercitate alla perfezione. La sensazione di immensa potenza è quasi irresistibilmente naturale. Ogni movimento è sincronizzato e calibrato, ogni attrezzo è perfetto per il suo scopo. Ma ci sono lavori che non possono essere svolti da una macchina. E nonostante tutti i difetti e le imperfezioni del gioco di Alcaraz, ciò che porta con sé è un’ingegnosità profondamente umana: la sensazione che, per quanto lo si analizzi a fondo, per quanto si possano leggere le sue intenzioni, non si possa mai avere la certezza, perché non esistono mai due situazioni uguali. Il tennis è un gioco di abilità ripetibili, ma è anche un gioco di momenti che esistono interamente nel loro tempo, di volontà umana, sentimenti umani e scelte umane”.
“Questa è la materia di cui è fatto il grande sport, di cui è fatto il grande teatro, di cui sono fatte le grandi rivalità”. Tocca elaborarla, una partita così. Non solo a Sinner. Tocca a tutti.
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