ROMA – “L’Iran non può essere considerata una potenza nucleare perché non ha nessuna delle componenti determinanti per un arsenale nucleare: non c’è nessuna minaccia a breve termine, come sostiene Israele”. Parte da qui l’intervista per l’agenzia Dire a Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete italiana pace disarmo (Ripd), organismo che oggi ha diffuso lo studio della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican), contenente la spesa per gli armamenti nucleari 2024 dei Paesi dotati di armamenti.
Lo studio, secondo cui in 12 mesi sono stati spesi 100 miliardi di dollari da Cina, Francia, India, Israele, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Regno Unito e Stati Uniti, non prende in nessun modo in considerazione l’Iran. Eppure, nelle prime ore del mattino, Israele ha avviato l’operazione militare preventiva contro la Repubblica islamica, prendendo di mira proprio basi militari, sistemi di difesa aerea e impianti di produzione, e uccidendo vari vertici militari e scienziati nucleari, ma anche numerosi civili, tra la capitale Teheran e altre località da nord a sud. Un bilancio non ufficiale indica quasi 80 morti e 330 feriti. Il premier Benjamin Netanyahu ha motivato l’urgenza di difendere l’esistenza di Israele, minacciata “dall’imminente capacità dell’Iran” di ricorrere ad armamenti atomici.
Vignarca commenta: “Non è vero. L’Iran non è nelle condizioni di usare in tempi brevi queste armi: primo, non ha il materiale fissile necessario a un’eventuale testata nucleare, secondo, non possiede le ogive – ossia la punta anteriore, affusolata, del missile – che potrebbero ospitare il sistema di innesco di queste testate, terzo, non ha neanche i lanciatori – come missili o bombe – che possano portare la testata sull’obiettivo scelto”.
I programmi di strutturazione di un arsenale nucleare, tiene a ribadire l’esperto, “sono lunghi, complessi, costosi e soprattutto non possono essere tenuti nascosti in nessuna delle varie fasi di implementazione. Inoltre si tratta di uno sforzo finanziario e tecnologico difficile da sostenere per un Paese come l’Iran, che è sottoposto a sanzioni e controllato in modo pressante da parte della comunità internazionale”.
Un esempio è la Corea del Nord: “La comunità internazionale si allarma per ogni test missilistico che Pyonghiang realizza perché vi intravede l’esigenza di sviluppare sistemi di lancio. Questo Paese però possiede – a differenza dell’Iran – delle testate, e lavora per trovare il modo di lanciarle”. Quindi per Vignarca, “se si vuole davvero evitare che l’Iran arrivi a sviluppare un arsenale nucleare, bisogna percorrere altre strade, che non possono essere quella di puntare il dito in maniera scorretta contro il Paese né, soprattutto, bombardarlo”.
Una via sono i negoziati diplomatici per raggiungere un accordo come quello siglato nel 2015 durante la presidenza di Barak Obama, il Jcpoa, comunemente più noto come Accordo sul nucleare iraniano. Il suo obiettivo: consentire a Teheran di sviluppare tecnologia nucleare a scopo civile e non militare. “Prima del 2020- evidenzia il responsabile della Rete italiana pace e disarmo- stavano funzionando perfettamente, dando risultati dal punto di vista pratico e tecnico”, vale a dire in termini di “controllo reciproco: permetteva cioè all’Iran di sottoporre il proprio programma civile a dei controlli che gli evitavano di sforare in una deriva militare, e questo garantiva anche all’Iran di essere riammesso nella comunità internazionale e quindi avere vantaggi politici ed economici”.
Le sanzioni imposte sull’Iran ad esempio sono destinate a decadere nel momento in cui i termini dell’accordo saranno rispettati e proprio ieri a Roma, in occasione di una ministeriale in Farnesina, l’alta rappresentante Kaja Kallas aveva chiarito che i 27 Stati membri dell’Ue saranno chiamati a decidere se rimuovere tali sanzioni, anche alla luce dei nuovi negoziati promossi dagli Stati Uniti, e che avrebbero dovuto tenersi questo fine settimana in Oman.
Vignarca continua: “Purtroppo quell’accordo, negoziato anche con un grande ruolo dell’Unione europea, è stato fatto saltare dal presidente Donald Trump durante il suo primo mandato per calcoli scellerati di politica interna. Questo ha fatto sì che l’Iran tornasse a valutare la possibilità di sviluppare un proprio arsenale”. La marcia indietro degli Stati Uniti secondo Vignarca ha inoltre “mantenuto la possibilità di sventolare il feticcio di un nemico in Medio Oriente, da utilizzare come abbiamo visto in queste ore da parte di Israele”.
Così, l’attacco israeliano “ha minato alla base i colloqui Stati Uniti-Iran che stavano faticosamente riprendendo”. Teheran ha infatti reagito uscendo dai negoziati. “Il premier israeliano Netahyau” prosegue Francesco Vignarca, “torna così a sventolare il fantoccio di una minaccia falsa, come ha già fatto tantissime volte: ricorderete all’Assemblea generale dell’Onu quando mostrà il documento – falso – con la percentuale della bomba iraniana pronta; stavolta, ha fatto questo perché ha bisogno di questa scappatoia”. Vignarca si riferisce al crollo nei consensi interni che il primo ministro affronta in Israele a causa dell’incapacità di riportare a casa gli ostaggi catturati da Hamas il 7 ottobre 2023 e di una guerra a Gaza e Libano di cui non si intravede la fine.
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