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L’analista Akbarzadeh: “Israele vuole gli Usa nel conflitto”


ROMA – “L’obiettivo è il cambiamento di regime”: così all’agenzia Dire Shahram Akbarzadeh, analista di origine iraniana, direttore del Forum per gli studi sul Medio Oriente all’Alfred Deakin Institute, in Australia, in merito all’offensiva militare di Israele contro la Repubblica islamica.

Un giudizio, il suo, condiviso dopo l’appello rivolto dal primo ministro Benjamin Netanyahu al “coraggioso popolo dell’Iran”. Un messaggio nel quale il capo di governo, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza, si è proposto come alleato dei cittadini desiderosi di libertà contro il governo degli ayatollah emerso dalla rivoluzione del 1979. “È giunto il momento per il popolo iraniano di unirsi attorno alla sua bandiera e alla sua eredità storica, battendosi per la propria libertà dal regime malvagio e oppressivo”, ha detto Netanyahu. “Il regime islamico, che vi ha oppresso per quasi 50 anni, minaccia di distruggere il nostro Paese”.

La domanda, per Akbarzadeh, riguarda anche una volontà israeliana di coinvolgere gli Stati Uniti nel conflitto con Teheran. La sua tesi è che Tel Aviv sia decisa a condurre un’azione “ad ampio raggio”. “Ci sono molte possibilità di un allargamento all’intera regione e di un coinvolgimento americano” sottolinea l’esperto, sentito in questi giorni anche dall’emittente Al Jazeera. “Israele punta sul fatto che, una volta cominciato un conflitto, gli Stati Uniti sono tenuti a rispettare il loro impegno verso la sicurezza del loro alleato”.

A confermare indirettamente la possibilità di una dinamica del genere alcune dichiarazioni di ieri di Donald Trump. “L’Iran deve raggiungere un accordo, prima che non rimanga nulla” aveva dichiarato il presidente americano ieri. Alcune ore più tardi, poi, Trump aveva definito “eccellenti” i bombardamenti condotti da Tel Aviv.

Colloqui tra Iran e Stati Uniti sul nucleare erano in programma domani a Muscat, in Oman. Al momento non è affatto chiaro se potranno effettivamente svolgersi, nonostante il sultanato abbia ribadito l’intenzione di favorire una trattativa.
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