ROMA – Il Ringhio ora è “nazionale”. Uno scatto di carriera retorico. Dai club alla rappresentanza d’un Paese intero, quell’Italia che chiamò – sì! – beccandosi troppi “no” prima di trovare lui, Rino Gattuso. Cambio di paradigma, per disperazione Mondiale: basta gioco, viva la grinta. Una tenaglia motivazionale, la cui prima vittima è proprio il nuovo ct. Non riuscirà mai smarcarsi dall’etichetta dell’uomo “cazzuto” e basta.
Non l’hanno ancora presentato davvero, che la stampa è già partita con i pezzi celebrativi: Rino “troppo buono”, “troppo sincero”, “troppo onesto”. Una nomea che lo precede. Non ne può più nemmeno lui. Da un pezzo. Ma è il pezzo che riciclano ogni volta. Una persecuzione morale.
E’ una cazzutaggine autorappresentata che ai tempi del Napoli ad esempio veniva percepita e tradotta con toni melliflui. Fa niente che lui opponesse un no secco ad ogni intervista: “Io sono cazzuto!”, ripeteva sbattendo i piedi a terra. Dallo studio annuivano comprensivi: è troppo trasparente per questo mondo infame. “Trasparente”, ecco, eppur spesso “incompreso” nella sua (eccessiva) trasparenza. Una narrazione che dalla storia complicatissima delle sue panchine ora finisce in Nazionale, come un piatto riscaldato al microonde.
Gattuso è vittima del suo personaggio, anche se non gli appartiene più da molto tempo. Colpa di una pregressa attitudine allo sfogo: non sei più un duro se ti sfoghi tre volte a settimane. Le lamentele sono l’anestesia dei “duri”, sono atteggiamenti in conflitto. I guai che un’altra narrazione si ostina a cucirgli addosso – una specie di Mr. Wolf fallito, uno che i problemi li trova ma non li risolve mai – sono diventati un boomerang: Gattuso negli ultimi anni è stato analizzato con spirito ecumenico, condiscendente, ammorbidito col Coccolino. “Rino è così”.
Sarà interessante scoprire come declinerà adesso questa tendenza. Se proverà a spostare il “fuoco” (sempre amico, fino alla prossima sconfitta) per evitare di essere compatito, e lascerà a casa il candore per indossare la divisa del Motivatore professionista. A occhio l’hanno scelto per questo, visto il momentaccio.
In ogni caso Gattuso è protagonista di un meccanismo comunicativo che gli si ritorce contro da un bel po’. La grammatica del vittimismo l’ha sempre – almeno ufficialmente – odiata. Ma gli ha procurato un salvacondotto d’immagine che l’ha portato nel posto più ambito da tutti gli allenatori italiani. Spera in cuor suo di ribaltare la trafila canonica: da martire a santo, hai visto mai.
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