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Le donne ebree a Roma hanno un alto rischio di cancro. Colpa di gene mutato nel passato: ecco cosa significa


ROMA – È durato circa 8 anni lo studio coordinato dall’oncologa Laura De Marchis dell’Umberto I Policlinico di Roma, Sapienza Università di Roma, in collaborazione con il professor Alain J. Gelibter ed il dottor Raffaele Angelo Madaio dell’ospedale Israelitico, sulla comunità ebraica di Roma che ha riscontrato un’alta percentuale di cancro al seno e alle ovaie con insorgenza precoce correlata a varianti genetiche predisponenti. L’articolo scientifico è uscito questo mese su Cancers e i risultati della ricerca saranno presentati e approfonditi in un convegno ad ottobre, organizzato proprio dalla comunità ebraica di Roma, per divulgare alla comunità soprattutto l’impatto e le ricadute in termini di prevenzione di questa ricerca.Il motivo della comparsa di cancro al seno e ovaio in una percentuale di donne ebree di Roma sarebbe svelato e risiedere in un gene “mutato” che le espone ad un alto rischio. Un gene predisponente (che di per sè non è certezza di malattia) ‘parente’ di quel BRCA1 balzato alle cronache degli ultimi anni con le storie di Angelina Jolie e Bianca Balti. Le donne analizzate da questo studio presentano una variante predisponente del gene BRCA2 c.7007G>C.

“L’analisi di aplotipo (ndr, ovvero la variante genetica) suggerisce un effetto fondatore con origine remota”, spiega lo studio, svelando quindi che la “comunità ebraica di Roma (per la prima volta studiata per questa predisposizione oncogenetica) è tra le più antiche d’ Europa”.

L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

La professoressa De Marchis ha spiegato alla Dire l’elevato impatto di questa ricerca e l’importante ricaduta a scopo preventivo. Tale potenzialità sta nella possibilità di prevenzione che si può avere disponendo di questa conoscenza. “Le strategie di riduzione del rischio di cancro nelle donne Ashkenazite portatrici di varianti genetiche hanno un impatto positivo sulla riduzione della morbilità e della mortalità per cancro. Le linee guida britanniche e statunitensi raccomandano lo screening BRCA1/2 (BRCA) tra gli ebrei Ashkenaziti per identificare gli individui ad alto rischio. Lo stato di BRCA non era stato ancora studiato nella comunità ebraica di Roma. Dunque, questa prima ricerca mirata porta un messaggio importante per la tutela della salute di queste donne e delle loro figlie, ma anche per gli uomini per le implicazioni di rischi oncologici correlati. Se già si fa fatica a far arrivare la prevenzione alla popolazione, in questi gruppi più esposti al rischio l’informazione diventa ancor più cruciale”, spiega la docente che al Policlinico Umberto I segue con un ambulatorio dedicato le persone portatrici di varianti genetiche predisponenti. “È stato importante ma anche difficile sottolineare e spiegare l’importanza di aderire a questo progetto nelle donne della comunità, già storicamente provate da eventi significativamente complessi”.

I pazienti, spiega lo studio, sono stati selezionati presso l’ambulatorio dei tumori eredo-familiari del Policlinico Universitario Umberto I di Roma e sono state arruolate 38 famiglie non imparentate (28 di origine ebraica romana e 10 di origine ebraica libica), comprendenti 44 pazienti con diagnosi di tumore al seno e/o alle ovaie. È stata effettuata la consulenza genetica con la collaborazione del prof. Antonio Pizzuti e il test BRCA germinale è stato condotto presso l’Unità di Diagnostica Molecolare e Genomica diretta dal Dott. Angelo Minucci della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e con il contributo scientifico del Prof. Ettore Domenico Capoluongo dell’Università Federico II di Napoli.Ecco il risultato: il 26,5% (9/34) provenienti da 7/28 famiglie non imparentate (25%) nella comunità ebraica romana presenta la variante nota di BRCA2 c.7007G>C.

L’analisi genetica condotta su quattro donne portatrici della variante BRCA2 c.7007G>C – appartenenti a famiglie non imparentate tra loro – è stata sviluppata nei laboratori diretti dal professor Emiliano Giardina presso l’IRCCS Fondazione Santa Lucia e l’università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. I risultati hanno rivelato che tutte le portatrici condividevano un tratto genetico comune, detto aplotipo, ovvero una sequenza di DNA trasmessa di generazione in generazione. Questo suggerisce che la variante sia derivata da un unico antenato comune, un fenomeno noto appunto come effetto fondatore.L’ipotesi dell’effetto fondatore è stata ulteriormente rafforzata dagli studi condotti nei laboratori della Fondazione Pisana per la Scienza dal dott. Paolo Aretini, in collaborazione con il professor Stefano Presciuttini. La lunghezza dell’aplotipo condiviso osservata nei portatori, mostra lo studio, indica che questa mutazione potrebbe essere molto antica, probabilmente una delle più remote tra quelle presenti nelle comunità ebraiche europee.

Secondo gli studiosi, è possibile ricostruire un percorso storico di questa variante che, partendo dalla Puglia, si sarebbe diffusa attraverso il Mediterraneo fino ad arrivare a Roma, dove si è conservata nel tempo all’interno della comunità ebraica locale. Questo conferma che la variante BRCA2 c.7007G>C è una mutazione fondatrice tipica della comunità ebraica romana, non comune nella popolazione generale.Questa scoperta, è questo il messaggio importante di questo studio che preme ai medici ricercatori diffondere, rafforza l’importanza di programmi di prevenzione mirati e di consulenza genetica oncologica specifica per le minoranze etniche ad alto rischio, come quella ebraica romana. Poiché queste comunità non sono sempre raggiunte dagli screening oncogenetici standard, è fondamentale potenziare gli sforzi di sensibilizzazione e prevenzione per ridurre l’incidenza e la mortalità legata ai tumori ereditari.

IL TEAM DEI RICERCATORI

Laura De MarchisAlain J. GelibterGiulia MammoneRaffaele Angelo MadaioPaolo AretiniMaria De BonisStefania ZampattiCristina PeconiDaniele GuadagnoloAnnarita VestriAntonio PizzutiEmiliano Giardina
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